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"Io sotto accusa
per un teorema
Csm intervenga"

"Io sotto accusa per un teorema Csm intervenga"

All'indomani dell'assoluzione di Calogero Mannino, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino torna sul processo sulla trattativa Stato-mafia che lo vede tra gli imputati e in due interviste a Repubblica e Corriere della Sera punta il dito contro il "teorema" costruito contro di lui. "Ritengo - dice al quotidiano di Ezio Mauro - che sia stato costruito un teorema. Ma siccome ho rispetto per i giudici che si stanno occupando del mio processo non dico altro. Io non ho mai saputo nulla di questa trattativa. Se avessi saputo qualcosa mi sarei mosso, perché lo Stato non deve scendere a patti". L'ex vicepresidente del Csm sottolinea come le intercettazioni lo discolpino: "Si vadano a risentire le mie telefonate con il dottore Loris D'Ambrosio, il consigliere giuridico del presidente Napolitano. Gli ripetevo che a me nessuno aveva detto niente. Né il presidente Scalfaro, né il ministro della Giustizia Conso, né il capo della polizia Parisi. E mentre dicevo quelle cose al telefono non sospettavo certo di essere intercettato. Dunque, le mie erano parole sincere". Mancino riflette poi sulla durata del processo: "La Procura ha chiesto 160 testimoni. E per quanto mi riguarda il processo va avanti con troppa lentezza nonostante l'impegno dei giudici". "Il dibattimento - dice ancora l'ex ministro al Corriere - sta durando troppo, dopo due anni e mezzo stanno ancora sentendo i testimoni dell'accusa, e della mia posizione non s'è quasi mai parlato. Vorrei chiedere ai pubblici ministeri quanto altro devo aspettare; o se bisogna morire prima di vedere chiusa la propria vicenda". Se temo di non fare in tempo per via dell'età? "Io - dice Mancino - sono sotto la protezione della natura, però la lentezza con la quale si procede mi pare eccessiva". 

 "Trovo le dichiarazioni dei pm inopportune e mi rivolgerò al Csm. Hanno il dovere di rispettare le sentenze. Qui ci sono pm che ritengono di potere fare tutto senza risponderne. D'altronde sono quelli che hanno citato in aula Napolitano". A dirlo, all'indomani della sua assoluzione nel processo sulla trattativa Stato-mafia, è l'ex ministro Calogero Mannino. Mannino nega che sia stato un processo politico: "No, tranne Ingroia (che poi è fuggito), né Teresi né Di Matteo hanno una caratura politica. Ingroia e Teresi hanno fatto dei grossi errori di valutazione dei quali non si sono più liberati e Di Matteo è andato sul loro solco. D'altra parte, per colpa della sua ostinazione, Di Matteo, per la strage di via d'Amelio, ha fatto condannare persone innocenti. È stata una persecuzione, 25 anni di processi sono già una pena". Torna poi sull'assoluzione: "Questa sentenza di un giudice coraggioso mette il sigillo alla verità: io con la trattativa non c'entro nulla". E sul fatto che ci sia stata la trattativa Stato-Mafia commenta, "Io questo non lo so. Certo, ho dei fortissimi dubbi. So cosa è l'Arma dei carabinieri e dubito che si possa essere avventurata su un terreno così infido". Mannino spiega perché Cosa Nostra ce l'avesse con lui: "Noi della Dc negli anni Ottanta abbiamo affrontato una sfida di cui purtroppo io ho pagato le conseguenze per 25 anni. Noi abbiamo buttato fuori Vito Ciancimino, noi abbiamo promosso la giunta della Primavera di Leoluca Orlando. La mafia si è vendicata e io sono rimasto stritolato tra l'offensiva di Cosa nostra contro la Dc e il progetto di destrutturazione del nostro partito portato avanti in quegli anni da esponenti del vecchio Pci". L'ex ministro continua il suo sfogo contro i magistrati anche in un'intervista al Giornale: "Prima è bastato un anonimo (il cosiddetto Corvo 2, ndr) per indagarmi e sono stati sconfitti. Poi si sono inventati questo altro processo tentando di coinvolgermi in una trattativa che per parte mia non c'è mai stata".

"E' una sentenza annunciata". Intervistato da Repubblica, l'ex magistrato Antonio Ingroia commenta così l'assoluzione dell'ex ministro Calogero Mannino al processo sulla trattativa Stato-mafia. "Nessuno, in Italia e soprattutto dentro le Istituzioni politiche e giudiziarie, voleva questo processo che ha creato grattacapi e persino conflitti con il Quirinale. Ma quello che in tanti volevano era che si cancellasse la 'trattativa' dal vocabolario e dal pubblico dibattito del Paese. Invece, paradossalmente è avvenuto esattamente il contrario". "Questa sentenza - dice l'ex pm - ha assolto Mannino però ha riconosciuto la sussistenza della 'trattativa' come fatto di reato, poi bisogna individuare i responsabili, se ci sono..." L'assoluzione, aggiunge, "forse è una mezza sconfitta della Procura ma è anche una mezza vittoria perché il reato sussiste. Diverso sarebbe se l'assoluzione fosse stata con la formula perché il fatto non sussiste". (ANSA).

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