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D’Alia sbatte la porta e trova... Totò Cuffaro

Lettera corrosiva: «Ultimo atto di una farsa». Poi il botta e risposta con l’ex presidente della Regione
Antonio Siracusano

 

D’Alia sbatte la porta e trova... Totò Cuffaro

Un divorzio rissoso, avvelenato da una rivalità che nel tempo ha maturato risentimenti profondi. Gianpiero D’Alia schioda la targhetta di presidente dell’Udc con una lettera al vertice nazionale del suo ex partito. E conferma le sue dimissioni. Una decisione che nella forma ha preso corpo ieri, ma che nella realtà era già scritta da tempo.

La scintilla è stata la sospensione decretata dal segretario nazionale Lorenzo Cesa.

La mossa ha innescato una rapida resa dei conti. Lo schiaffo a D’Alia s’innerva nel mai sopito conflitto personale, ma soprattutto nelle divergenze che hanno segnato scelte e alleanze: no di Cesa al referendum, sì del deputato messinese; rotta sul centrodestra da una parte (Cesa) e convivenza con il centrosinistra dall’altra (D’Alia).

La scissione è compiuta. Ma nelle prossime ore si annuncia un effetto domino destinato a lacerare ancora di più il partito siciliano, da tempo in balia delle onde e delle fazioni. D’Alia tira giù il sipario con poche righe che armano la mano per restituire lo schiaffo. Con gli interessi: «Spettabile segretario – scrive – la tua comunicazione di sospensione e deferimento ai probiviri del partito rappresenta l’ultimo atto di una farsa che non poteva che avere il suo epilogo nel giorno dei morti. Purtroppo neanche la gravità della ricorrenza – aggiunge l’ex ministro messinese – riuscirà a liberare questa vicenda dall’alone di ridicolo che l’avvolge e che disgraziatamente si porterà dietro fino alla fine. Al fine di evitarti nuovi strappi sul fronte della legalità statutaria, ti rassegno le mie dimissioni da presidente del Consiglio nazionale e dal partito. Tanto ti dovevo».

Cala il sipario e si alza il siparietto. Ma questa volta il duello è avvincente e affonda le radici nelle correnti tumultuose che hanno diviso due vecchi “compagni” di partito.

A sfoderare il fioretto, infatti, è Totò Cuffaro, evocato (e temuto) come il regista che dietro le quinte starebbe covando un progetto di rivincita: «Gianpiero D’Alia mi cita come alla guida di una corrente e interprete di una linea politica: nulla di più falso, come sanno anche le pietre. Mi preme ribadire per l’ennesima volta – non c’è infatti miglior sordo di chi non vuol sentire – che non faccio, né potrei fare politica attiva: sono interdetto dai pubblici uffici ma non dal pensiero e dal ragionamento, dall’osservazione, dall’analisi e dal commento sui fatti della politica».

Poi Totò Cuffaro aziona la memoria. Senza fare troppi sforzi: «Su una cosa però sono completamente d’accordo con Gianpiero D’Alìa – aggiunge – quando afferma che con lui l’Udc è al governo nazionale e regionale con il Pd e che è con Crocetta dal 2012, in quanto sostenitore della maggioranza di governo alla Regione. È vero, le cose stanno così: è stato proprio D’Alia a volere Crocetta alla presidenza della Regione e i siciliani non solo lo sanno bene, ma se ne ricorderanno al momento giusto».

Il deputato messinese finge di cadere dalle nuvole e agita il retropensiero: «Devo ritenere – replica – che le affermazioni di Cuffaro non siano frutto di casualità, visto che in Sicilia nulla accade per caso, e soprattutto sembrano confermare un suo impegno politico, una vera e propria militanza. Ma questi sono affari suoi e dei suoi amici della famiglia Addams del centrodestra siciliano». Poi però si fa prendere la mano e nel rilancio sarcastico infila anche un giudizio politico francamente avventato. E stupefacente: «Su di una cosa posso convenire con Cuffaro: la sfiga dei siciliani nella scelta dei presidenti di regione degli ultimi 15 anni almeno». Nell’ordine Cuffaro, Lombardo e Crocetta.

Si salva sul filo della storia il governo Ds di Capodicasa (1998 al 2000). Gli impenitenti studiosi di dietrologia osservano che la sentenza da giudizio universale di D’Alia è un omaggio ai nuovi compagni di avventura politica, nel solco della sinistra-centrista italiana.

Una carezza da una parte, fiumi di bile dall’altra. Perché l’Udc è stato il perno politico dei tre governi trascinati dalla “sfiga” dei siciliani. “Poi dice che uno si butta a sinistra” osservava Totò. D’Alia ha giocato d’anticipo. E allora non resta che... buttarsi e basta.

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Il vicecommissario regionale
su «mafiosi e cocainomani»

«Ardizzone omertoso se non fa i nomi»

«Con riferimento all’sms inviato dal presidente Giovanni Ardizzone agli onorevoli Paola Binetti e Rocco Buttiglione, premesso che siamo convinti che l’Udc sia un partito composto da persone oneste e corrette, se il presidente dell’Ars infanga l’Udc, partito di cui ha fatto parte fino a pochi minuti fa, due sono i ragionamenti logici che ne conseguono: o è al corrente dei mafiosi di cui parla (in tal caso lo invitiamo a fare i nomi alle autorità giudiziarie competenti e a mettere da parte qualsiasi tipo di atteggiamento omertoso) o, al contrario, la sua altro non è che una ritorsione personale». Lo afferma il vicecommissario regionale Udc Ester Bonafede che aggiunge: «Siamo allibiti. È incredibile che il presidente dell’Ars in quanto organo istituzionale e garante della terzietà, rinunci a questo ruolo entrando a gamba tesa in un dibattito politico con argomentazioni gravi e diffamanti».

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