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L’agguato a Giuseppe Antoci, 14 avvisi di garanzia

L’agguato a Giuseppe Antoci, 14 avvisi di garanzia

Potrebbero essere giunte ad una svolta decisiva le complesse indagini sull’agguato armato ai danni del presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. Ad un anno esatto dall’attentato (la sparatoria nel bosco della Miraglia avvenne la notte tra il 17 e 18 Maggio 2016) sarebbero stati notificati alcuni avvisi di garanzia per l’ipotesi di reato di tentato omicidio. Nessuna fonte ufficiale al momento, solo indiscrezioni trapelate e raccolte negli ambienti nebroidei dove, da un anno a questa parte, le vicende che ruotano attorno all’agguato, sventato dagli uomini della scorta, sono state oggetto delle più disparate ricostruzioni ed ipotesi.

Quello che si sa è che sarebbero 14 le persone “avvisate” nell’ambito delle indagini condotte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina e dalla Squadra Mobile della Polizia.

Le informazioni di garanzia sarebbero funzionali «all’esecuzione di accertamenti tecnici non ripetibili» a carico delle persone iscritte sul registro degli indagati. Tecnicamente quello che dovrebbe essere svolto sarebbe il prelievo dei campioni di Dna.

Ciò lascerebbe dunque presagire che l’esame possa servire per la comparazione dei campioni con le tracce biologiche repertate sul luogo dell’agguato, in cui, lo ricordiamo, oltre alle bottiglie molotov, ai bordi della strada furono ritrovati anche alcuni mozziconi di sigaretta. Ricostruzioni, come detto, che non trovano al momento conferme dagli ambienti investigativi, né potrebbe essere altrimenti vista la delicatezza della vicenda e la complessità del lavoro degli inquirenti, che si muovono in un campo “minato” come quello dell’entroterra dei Nebrodi, finito non a caso nell’ultimo anno al centro di numerose inchieste, anche con l’esecuzione di provvedimenti cautelari, legate al filone del controllo dei terreni da parte della criminalità organizzata e la conseguente gestione dei finanziamenti pubblici europei, destinati al settore agricolo. Ed è proprio vicino a quegli ambienti che gli investigatori starebbero “rovistando” per seguire la traccia che potrebbe portarli all’individuazione di coloro i quali, poco dopo le 2 di notte del 18 maggio 2016, appostati dietro un muretto della statale 289 tra Cesarò e San Fratello, attesero l’auto blindata con a bordo il presidente del Parco Giuseppe Antoci, fermandola con dei massi sulla carreggiata ed esplodendogli contro alcuni colpi di fucile, prima di essere messi in fuga dal sopraggiungere della seconda auto del commissario di Polizia Manganaro. Un’azione armata, dopo le intimidazioni dei mesi precedenti con l’invio di proiettili e messaggi minatori, che, secondo le tesi investigative di questi dodici mesi, sarebbe stata scatenata dall’opera incisiva condotta attraverso il protocollo di legalità sorto sui Nebrodi. Una convenzione, siglata nel marzo 2015 tra i Comuni del Parco, la Regione e la Prefettura di Messina, poi esportata in tutta la Sicilia ed anche fuori i confini regionali, che ha portato all’azzeramento della soglia di importi per i quali è necessario, nelle richieste di concessione dei terreni, produrre agli atti la certificazione antimafia.

A quell’agguato seguì la risposta decisa da parte dello Stato. L’entroterra dei Nebrodi è stato passato pesantemente al setaccio dalle forze di polizia, anche con l’ausilio di squadre speciali, non solo alla ricerca degli attentatori ma anche per stringere il cerchio sul business della mafia dei terreni

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