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Ecco perché hanno arrestato il giudice Amato

Ecco perché hanno arrestato il giudice Amato

Nel pozzo profondo di questa squallidissima storia di pedofili in rete che ha portato all’arresto di un insospettabile colletto per niente bianco, ci sono pagine giudiziarie agghiaccianti.

Il magistrato 58enne Gaetano Maria Amato, finito in carcere alle quattro e mezza di lunedì pomeriggio con la pesantissima accusa di pornografia minorile, secondo l’accusa ha dialogato per mesi in chat con un pedofilo e confezionato personalmente alcune foto di ragazzine nude, che ha poi diffuso sulla rete.

È stato a settembre che è cominciato tutto. Quando la Polizia postale della Sicilia Orientale, su delega della Procura di Trento che indagava da mesi su una rete di pedofili nazionali per l’operazione “Black Shadow”, ha effettuato una lunga perquisizione a Messina nella casa del magistrato portando via computer e cellulari. E quel giorno, Amato, davanti ai poliziotti che controllavano i suoi computer, ha ammesso di aver chattato occasionalmente e di aver inviato al suo contatto quattro-cinque foto.

Nell’ambito dell’inchiesta sono infatti documentati rapporti in chat dell’Amato in un lungo arco temporale tra il giugno del 2014 e il settembre del 2015 con uno degli indagati dell’operazione “Black Shadow”, che si manifestava in rete con un nome in codice.

In questo lungo periodo monitorato dalla Polizia postale i due si sono scambiati foto di contenuto pedopornografico, e il magistrato ha pubblicato in chat alcuni scatti di due bambine che aveva “autoprodotto”, in alcuni casi ritraendole anche, a quanto pare, completamente nude.

Un quadro indiziario quindi molto concreto e provato dall’acquisizione delle immagini e delle conversazioni in chat tra i due, che ha consolidato la richiesta di detenzione in carcere avanzata dal procuratore capa di Messina Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Giovannella Scaminaci, accolta dal gip Maria Vermiglio che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare, eseguita lunedì scorso dalla Sezione di Pg della Polizia.

È emerso in sostanza un concreto collegamento tra il magistrato indagato e il mondo della pedofilia, che ha fatto qualificare l’accusa da parte del gip Vermiglio nella fattispecie più grave della normativa ricompresa nell’art. 600 ter c.p., quella contenuta nel primo comma, in relazione al fatto cioé che il magistrato Amato ha materialmente “confezionato” le foto pedopornografiche, che ha poi diffuso in rete.

C’è poi un altro aspetto da chiarire che riguarda la competenza territoriale, che in questa vicenda rimane radicata a Messina anche se si tratta di un magistrato. Astrattamente infatti quando una Procura ha notizie di reato su un magistrato del proprio distretto giudiziario deve trasmettere gli atti ai colleghi competenti ex art. 11 c.p.p., cioé di un’altra Procura vicina.

In questo caso si tratta di una valutazione della cosiddetta competenza funzionale in relazione a un magistrato in servizio da tempo a Reggio Calabria. L’intera vicenda si è però consumata a Messina e non a Reggio Calabria, dove l’indagato svolge le funzioni di magistrato e le svolgeva all’epoca dei fatti. Quindi secondo il gip Vermiglio il criterio dell’art. 11 c.p.p. non opera in questo caso.

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