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Nicosia accusa: vittima di un clamoroso errore

Scambio elettorale, arrestato ex sindaco di Vittoria

VITTORIA – «Sono vittima di un clamoroso errore giudiziario, di sicuro commesso in buona fede, ma la cui vicenda non può e non deve finire qui: sono difatti intenzionato a rivolgermi al Presidente della Repubblica per evidenziare questo evidente caso di mala giustizia, che, oltre a colpire me, ha affossato anche mio fratello Fabio»: queste le prime parole, pronunciate a testa alta e di nuovo da uomo libero, dall'avvocato vittoriese e già sindaco di Vittoria per due mandati consecutivi Giuseppe Nicosia, arrestato, assieme al fratello Fabio, consigliere comunale sospeso dalla carica con provvedimento prefettizio e successivamente dimessosi, e ad altre quattro persone nell'operazione "Exit Poll" per voto di scambio politico mafioso.

Nicosia, dopo la revoca dei domiciliari e dell’obbligo di firma periodica in commissariato (provvedimento che ha riguardato anche gli altri indagati, ora tutti liberi), ha convocato i giornalisti per dire la sua. «Ho atteso in rigoroso silenzio che la magistratura giudicante, una magistratura serena, preparata, competente, scevra da pregiudizi e condizionamenti esterni, si esprimesse e spazzasse via con la forza del diritto l'infame accusa avanzata, invece, da quella parte di magistratura inquirente che si è affidata a falsi mezzi pentiti, non adeguatamente riscontrati, ed a congetture prive del seppur minimo elemento indiziario. Ora e solo ora – dice Nicosia – posso liberamente intervenire contestando la totale infondatezza di tutti i capi di accusa a mio carico, le molteplici dichiarazioni alla stampa rilasciate dagli inquirenti, e denunciando all'opinione pubblica il gravissimo errore giudiziario, frutto di una serie di macroscopici e grossolani equivoci, che ha trasformato persone stimate e libere in vittime di un caso eccezionalmente raro di "mala giustizia". Auspicabile sarebbe l'intervento di Mattarella, non solo quale garante della Costituzione ma anche nella veste di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, affinché i "motivi" che hanno portato alla mortificazione su scala nazionale di persone perbene, quali noi siamo, vengano esaminati dall'organo di autogoverno e di controllo dell'operato dei Magistrati. Rammento le recenti parole del Presidente della Repubblica: "Le toghe non siano abiti di scena", per dire che auspico che non lo siano più neanche le divise dello Stato, riferendomi alla messa in scena in cui è consistita la "notifica" dell'ordinanza con cui si disponeva la misura degli arresti domiciliari. Un inutile ed estremamente dispendioso uso di elicotteri, di circa 15 agenti dedicati ad ogni soggetto cui notificare l'ordinanza, lo spianamento delle armi sin dentro case dove dormivano bambini. Cosa si temeva? Che scappassi con la canoa sita nella mia veranda a mare, o che ingaggiassi un conflitto a fuoco con la pistola ad acqua del mio piccolo di 5 anni che dormiva ignaro? Evidentemente non sussisteva alcuna esigenza che giustificasse un così impressionante uso della forza pubblica per una innocua notifica (corre sicuramente più rischi l'ufficiale giudiziario che provvede alla notifica di uno sfratto). Ma veniamo all'indagine, che ancora prosegue e delle cui singole risultanze pertanto ancora non parlerò per rispetto del lavoro della magistratura. E' proprio questa che, se si guarda con occhi scevri da pregiudizio, denuncia l'insussistenza delle ipotesi accusatorie, evidenzia che non vi è mai stato alcun supporto della criminalità alla nostra attività, che questa anzi è stata denunciata, che non vi è stata alcuna richiesta di voti mia o di mio fratello in cambio di favori ad alcuno degli altri coindagati, con i quali non sono mai sussistiti neanche semplici incontri o contatti a tal fine. L'ipotizzato "sinallagma" non è provato neanche lontanamente proprio perché non è mai esistito e gli investigatori avrebbero potuto evitare tale serie di equivoci se avessero approfondito con le forze dell'ordine locali le informative sui personaggi coinvolti. L'esaltare poche e semplici frasi dubbie estrapolate da migliaia di ore di intercettazioni non può supplire all'assenza di riscontri ed alla conoscenza del territorio e delle persone sulle quali si indaga. Faccio un esempio, trattandosi di informazioni rese pubbliche dagli stessi inquirenti: come si è potuto anche solo immaginare, ipotizzare e a maggior ragione ritenere provato tanto da comunicarlo all'opinione pubblica e al mondo intero, un mio "accordo" con Venerando Lauretta (uno degli indagati arrestati, n.d.r), ovvero un soggetto al quale era stata confiscata la casa di proprietà e assegnata tramite regolamento della mia amministrazione a delle cooperative sociali, dal quale avevo ricevuto minacce, che avevo inoltrato immediatamente all'autorità? La decisione del gip pressoché immediata (ho interloquito per la prima volta con un magistrato il 23 settembre a soli 2 giorni dall'arresto) della revoca dei domiciliari al sottoscritto e quella del tribunale del riesame, che ha già motivato per i primi due indagati con declaratoria di assenza di gravità indiziaria a supporto delle indagini, sono sufficienti, in attesa della motivazione relativa al mio provvedimento, a descrivere come la stessa magistratura, quella serena e non alla ricerca di facili riflettori, abbia ritenuto l'operato degli inquirenti ingiustificato tanto da averlo annullato in maniera netta e totale.

«Mi preme poi evidenziare – prosegue Nicosia – l'ultimo aspetto che rende inquietante ed unica nel suo genere la vicenda, e cioè la motivazione dell'arresto. Inedita, nell'era democratica della nostra repubblica, la motivazione della misura cautelare. Non penso, difatti, che nell'era repubblicana si sia mai letto in un atto giudiziario che esiste la pericolosità dell'indagato perché sono vicine le elezioni e che pertanto lo stesso va arrestato. Neanche per l'arresto di brigatisti si è ricorso a tale motivazione che nulla ha a che fare con i principi giuridici che si studiano sin dalle prime lezioni di diritto. Posso assicurare comunque quanti volevano la mia "fine" politica che ciò lo avevo deciso io ben prima di questo killeraggio mediatico. Non è più tempo di frequentare sedi politiche e partitiche che hanno dimostrato di non meritare il mio più che decennale impegno. Non solo: dopo 10 anni di denunce contro la criminalità cadute nel vuoto e dopo essere rimasto senza aiuto da parte di quello Stato al quale mi ero rivolto, l'essere indagato e arrestato per scambio politico mafioso, mi stordisce e mi impone di fermarmi anche per capire quali distorsioni vi possano essere nel "sistema". Sono convinto che si può perseguire il bene ed il senso del dovere pubblico anche attraverso altri ruoli pubblici e privati. E proverò a farlo da testimone di un'esperienza paradossale che intende far conoscere all'opinione pubblica quali distorsioni del sistema possono incombere sulla collettività, nonché, così come ho fatto nella difesa delle vittime della mafia, da avvocato che intende difendere tutte le vittime di uno Stato che, talvolta, nelle sue ramificazioni periferiche – conclude Nicosia – si mostra ingiusto e prevaricatore».

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