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Processo "Corsi d'oro" a Messina, pena ridotta per Sauta, Feliciotto e Schirò

Tribunale di Messina

Il processo che s’è concluso ieri in appello a Messina è la prima clamorosa puntata dell’inchiesta sulla formazione professionale in Sicilia, con cui nel 2013 l’allora procuratore aggiunto Sebastiano Ardita cominciò a smantellare un sistema perpetuato da anni tra spese “gonfiate” e rendiconti “fantasma”. Un pozzo senza fondo che sfarinò in poche tasche milioni di euro dell’UE, adoperati solo per creare disoccupati con tanto di diploma. Quella mattina che Guardia di Finanza e Polizia fecero scattare arresti, perquisizioni e sequestri era il 17 di luglio. Fu il primo passo giudiziario verso la “galassia Genovese”, tutto ciò che ruotava attorno all’ex sindaco Francantonio Genovese, ex parlamentare e segretario regionale del Pd poi passato armi, voti e bagagli a Forza Italia. In 10 finirono agli arresti domiciliari, tra questi Chiara Schirò, sua moglie, e Daniela D’Urso, moglie dell’ex sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca. E poi l’ex assessore comunale Melino Capone e l’ex presidente dell’Istituzione dei Servizi sociali Elio Sauta. Nei mesi successivi vennero sequestrati molti beni. All’inizio del 2014 vennero tutti scarcerati.

La sentenza

Il presidente Francesco Tripodi ieri ha letto il dispositivo intorno alle cinque del pomeriggio. E un primo dato emerge subito: anche in secondo grado, per i giudici, in questa storia si trattò di “truffa” e non di “peculato”, come invece ha sostenuto sin da subito la Procura, anche nel suo atto d’appello. Guardando ai numeri si tratta intanto di dieci condanne. Quindi il teorema complessivo della Procura ha retto bene anche al vaglio del secondo grado di giudizio. Le accuse iniziali erano di associazione finalizzata al peculato e alla truffa, reati finanziari e falsi in bilancio, connessi alla gestione degli enti di formazione professionale, e poi di peculato, truffa e tentata truffa.

In dettaglio si tratta di 4 riduzioni di pena, una prescrizione e 8 conferme (6 di condanna e 2 d’assoluzione). Sconto di pena per Elio Sauta, ex presidente dell’ente di formazione Aram, ex consigliere comunale ed ex presidente dell’Istituzione dei servizi sociali, nonché “uomo elettorale” di Genovese, condannato a 5 anni (in primo grado erano 7 anni e mezzo), e per la moglie Graziella Feliciotto, condannata a 2 anni e 2 mesi (in primo grado erano 3 anni e mezzo). Pena ridotta anche per Chiara Schirò, condannata a un anno e 8 mesi con la sospensione della pena (in primo grado 2 anni e 2 mesi). Infine 8 mesi, e pena sospesa, per Carmelo “Melino” Capone, ex assessore comunale e rappresentante dell’Ancol (in primo grado 2 anni). La prescrizione totale ha invece registrato Salvatore Giuffrè. Conferma della sentenza di primo grado per tutti gli altri: Concetta Cannavò, un anno; Daniela D’Urso, 4 mesi; Natale Lo Presti , un anno e 5 mesi; Nicola Bartolone, un anno e 4 mesi; Carlo Isaja, un ispettore del lavoro, 6 mesi; Daniela Pugliares, 3 mesi; Natale Capone, assoluzione totale; Giuseppe Caliri, assoluzione totale.

I dettagli della decisione

Solo le riduzioni di pena per Sauta e Capone sono spiegate in sentenza. Per la Feliciotto e la Schirò no, si parla genericamente di rideterminazione della pena (forse dovuta alla concessione delle attenuanti generiche prevalenti, ne capiremo di più con il deposito delle motivazioni). Per Sauta è dovuta invece all’assoluzione parziale («perché il fatto non sussiste»), dal capo d’accusa n. 18, ovvero la tentata truffa per l’acquisto di un immobile in via Pascoli (era un progetto di massima che fu rintracciato sul suo computer). Per Sauta decisa anche la revoca dell’interdizione legale e la riduzione a 5 anni per l’interdizione dai pubblici uffici. Per Capone la riduzione di pena deriva invece dalla dichiarazione di prescrizione di tre dei quattro capi d’imputazione di cui era accusato. Ne è rimasto in piedi solo uno, una tentata truffa per i corsi organizzati a suo tempo dall’Ancol a Siracusa. Altri dettagli. Con la conferma delle assoluzioni di Natale Capone e Giuseppe Caliri e senza nessun inasprimento di pena per gli altri, i giudici hanno in pratica detto “no” all’appello presentato dalla Procura. Nel maggio di quest’anno era stato il sostituto Pg Adriana Costabile a rappresentare l’accusa. Aveva chiesto 13 condanne: per 10 dei 13 imputati un aggravamento di pena, compresi i due a suo tempo assolti in primo grado, e per altri 3 la conferma della pena inflitta in primo grado.

Le confische

I giudici d’appello hanno deciso anche la conferma per le confische di beni e somme di denaro «per un valore corrispondente al profitto nel reato, nei limiti che saranno precisati in motivazione». È stato poi dichiarato inammissibile l’appello dell’Ancol, e sono stati poi rigettati di fatto gli appelli presentati dagli altri enti di formazione, ovvero Elfi Immobiliare s.r.l., Sicilia Service s.r.l., Centro Servizi 2000 s.r.l. e Associazione Pianeta Verde. Anche gli enti erano imputati nel processo. Quindi rimangono in piedi le condanne di primo grado a loro carico. Rigettata dai giudici pure la richiesta di risarcimento presentata dal Codacons. Restano in piedi invece tutte le statuizioni decise in primo grado per le parti civili, una decina di partecipanti a quei famigerati corsi che sono andati fino in fondo.

E il 17 gennaio del prossimo anno si apre in appello “Corsi doro 2”. L’altra puntata. Che riguarda, tra gli altri, Genovese e suo cognato Franco Rinaldi.

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