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Vince il concorso ma niente posto perché il padre è un ergastolano per mafia

Il padre Vincenzo Licata, 63 anni di Grotte (Agrigento), ha avuto tre ergastoli per mafia; la figlia, Gisella, 36 anni, una laurea in Giurisprudenza e nessun precedente penale, ha dovuto fare ricorso al Tar del Lazio perché il Viminale lo scorso 4 febbraio, le ha impedito di entrare in servizio dopo aver vinto un concorso da funzionario civile di prefettura.

"Ero bambina, non so nulla, non potevo sapere niente: che c'entro io con mio padre?", ha detto Gisella Licata, idonea a un concorso (è giunta 414/ma) bandito dal ministero dell'Interno per 250 posti e ripescata con lo scorrimento della graduatoria.

Dovrà occuparsi di migranti richiedenti asilo. Due giorni prima della firma del contratto, il 2 febbraio, ha appreso che dalla questura di Agrigento, il 18 gennaio, era partita un'informativa al ministero: "Si verrebbe a configurare - si legge nella nota - una situazione inconciliabile rispetto all'immissione nei ruoli di questa amministrazione, nella quale vengono svolte funzioni di particolare delicatezza, anche in materia di pubblica sicurezza".

Nella stessa informativa, però, si sostiene anche che la donna risulta "di regolare condotta in genere e immune da precedenti e pendenze penali, non è dedita all'alcool né all'uso di sostanze stupefacenti".

Fatto sta che la procedura di assunzione viene sospesa a tempo indeterminato. L'avvocato Girolamo Rubino, incaricato dalla donna, ha fatto ricorso al Tar del Lazio, che martedì ha deciso di accogliere la richiesta della donna di sospendere la decisione del Viminale.

Non sarà però probabilmente il Tar a reintegrare la signora Licata: i giudici potrebbero infatti dichiararsi incompetenti a favore del giudice del Lavoro, di Palermo o di Agrigento, perché si tratta di un rapporto potenzialmente già instaurato.

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