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Omicidio Alfano, revisione del processo per il boss di Barcellona Giuseppe Gullotti

Omicidio di Alfano

È una decisione veramente clamorosa quella adottata dalla Corte d'appello di Reggio Calabria. Che ha detto “sì” senza esame preliminare al processo di revisione per il boss barcellonese Giuseppe Gullotti, condannato in via definitiva a 30 anni come mandante dell'omicidio di Beppe Alfano, il cronista ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto da Cosa nostra l'8 gennaio del 1993. C'è un'altra condanna definitiva, a 21 anni e 6 mesi, in questa allucinante vicenda, per colui che è stato indicato come l'esecutore materiale, ovvero il carpentiere Antonino Merlino (che ha avuto già rigettata, in passato, una richiesta di rivedere la sua posizione).

L'istanza di revisione accolta a Reggio, e rimasta “sotto traccia” per anni, l'ha presentata nel 2016 uno dei difensori di Gullotti, l'avvocato Tommaso Autru Ryolo, e dopo l'invio degli atti da Catanzaro (prima sede di presentazione) a Reggio Calabria, è venuto a galla tutto. C'è già il decreto di citazione a giudizio - firmato il 10 maggio scorso -, del presidente della prima sezione penale della Corte d'appello di Reggio, Filippo Leonardo. Il giorno prima della firma, il 9 maggio, l'udienza era andata a vuoto per lo sciopero dei penalisti e per la mancata notifica alle parti civili. La data di trattazione stabilita è il 10 ottobre prossimo.

Nell'istanza l'avvocato Autru Ryolo elenca una serie di circostanze in relazione: alla testimonianza-chiave nei processi del pentito Maurizio Bonaceto; al ruolo svolto dal magistrato che seguì le indagini sull'omicidio e sostenne l'accusa nel giudizio di primo grado, Olindo Canali; alle dichiarazioni dei pentiti Santino Di Matteo e Giovanni Brusca; e infine alle denunce che la figlia di Alfano, l'ex europarlamentare Sonia, ha fatto a distanza di tempo in un libro.

La tesi di Bonaceto

Il pentito, a suo tempo, disse sia di sapere perché era stato ucciso Alfano sia di essersi trovato quella sera sul luogo dell'esecuzione. Secondo il legale due testimoni sentiti in indagini difensive dagli avvocati di Merlino, all'epoca, «... esclusero la possibilità da parte del Bonaceto di essere presente sui luoghi al momento dell'omicidio, trovandosi con lo stesso, nel momento in cui si sarebbe verificato il fatto omicidiario, presso la sua abitazione». E dice ancora: «... nel corso del procedimento (il giudizio d'appello, n.d.r.), il Bonaceto aveva ritrattato le precedenti accuse affermando di essere stato orientato nelle proprie dichiarazioni da parte di coloro che procedevano alla sua verbalizzazione».

L'ex pm Canali

Il legale poi parla di una «clamorosa vicenda», indicando il famoso memoriale del magistrato Olindo Canali che una mattina, durante un'udienza del maxiprocesso “Mare nostrum”, piombò letteralmente, e clamorosamente, in aula, perché venne depositato dall'avvocato Franco Bertolone, l'altro difensore di Gullotti, cui era pervenuto in forma anonima. E scrive che il magistrato Canali, quando fu sentito in aula, al maxiprocesso, su quel memoriale, ammise «... di essere l'autore di una missiva anonima nella quale si esprimeva perplessità in ordine alla responsabilità degli imputati per l'omicidio, ribadiva l'opinione che il Bonaceto avesse reso le dichiarazioni sul fatto al solo fine di accreditarsi con gli inquirenti». Secondo il legale «la eccezionalità di tale comportamento del Pm procedente non può che rafforzare la forza demolitrice delle dichiarazioni acquisite dai difensori del Merlino, consentendo di pervenire, quantomeno, ad un giudizio di mendacio delle dichiarazioni di Bonaceto, anche perché «emerge dalla lettura delle dichiarazioni rese al dibattimento dal Dr. Canali uno spaccato dell'attività di escussione del collaboratore irto di comportamenti equivoci che rivalutano anche la ritrattazione del collaboratore».

Brusca smentisce Di Matteo

Un altro argomento trattato riguarda le dichiarazioni dei pentiti Santino Di Matteo e Giovanni Brusca, con una chiosa che ha del clamoroso, ovvero di una smentita del secondo che non sarebbe mai stata prodotta. In sintesi Di Matteo disse all'epoca di «essere stato presente ad un incontro tra il Gullotti ed il Giovanni Brusca nel corso del quale si sarebbe pianificato l'omicidio del giornalista Alfano». Nel processo di primo grado per l'omicidio vennero acquisite le sue dichiarazioni, in appello testimoniò in aula e ribadì le accuse. Ebbene, scrive l'avvocato Autru Ryolo in relazione a questa circostanza: «ciò che si è scoperto successivamente appare veramente incredibile». Il legale, dopo aver ricordato che durante il maxiprocesso “Mare nostrum”, sentito in aula, Brusca smentì Di Matteo, sottolinea poi che dal deposito dei verbali integrali di Brusca «emergeva una incredibile circostanza». Quale? Quando l'ex pm Canali seppe del pentimento di Brusca (mentre ancora doveva svolgersi il processo d'appello per l'omicidio Alfano, n.d.r.), si recò in carcere «per interrogarlo sull'episodio riferito dal Di Matteo. Secondo il Brusca addirittura l'inquirente avrebbe letto le dichiarazioni rese dal primo collaboratore. Brusca, sempre a suo dire, avrebbe negato decisamente la circostanza, ma tale fondamentale elemento a discolpa dell'imputato, non era stato oggetto del verbale riassuntivo, pur essendo stato, a ricordo del Brusca stesso, oggetto di registrazione, mai più rinvenuta e quindi in ipotesi occultata o distrutta. Fatto sta che tale fondamentale elemento di prova venne sottratto alla cognizione del Giudice di appello e non posto a disposizione delle parti».

Il libro di Sonia Alfano

Ma c'è dell'altro. Scrive poi il legale che «... la smentita forse più importante in ordine alla responsabilità degli imputati e la conferma delle ipotesi di inquinamento probatorio delle indagini che condussero alla affermazione di colpevolezza degli imputati deriva dagli stessi familiari del povero giornalista». Il riferimento è al libro “La zona d'ombra” che alcuni anni addietro ha scritto la figlia di Alfano, l'ex europarlamentare Sonia. Secondo il legale emergono due circostanze: «a) non avere detto tutta la verità nel dibattimento allorché vennero escussi quali testimoni; b) aver fatto ciò sulla scorta anche dei consigli dello stesso Pm». Si parla della cosiddetta “verità nascosta” come vera causale dell'omicidio (la latitanza del boss Nitto Santapaola nel barcellonese, n.d.r.). Nel libro - spiega il legale -, si legge tra l'altro che «il Pm inquirente avrebbe consigliato ai familiari di “dimenticare certe storie” perché più grandi di lei ed emerge in generale la totale sfiducia nell'apparato che svolse le indagini».

La corruzione di Canali

In tutta questa assurda storia però c'è ancora altro. Già, perché il boss Gullotti e l'ex pm Canali, il cui memoriale è preso in grande considerazione come elemento cardine per l'istanza di revisione del processo Alfano, sono indagati entrambi a Reggio Calabria per corruzione in atti giudiziari. Dopo quanto ha raccontato il pentito barcellonese Carmelo D'Amico, Canali è stato iscritto nel registro degli indagati perché Gullotti gli avrebbe promesso «la somma di trecentomila euro» (ne sarebbero stati consegnati soltanto cinquantamila), per favorire Cosa nostra barcellonese (Gullotti attraverso la redazione del memoriale in cui Canali metteva in dubbio la sua colpevolezza come mandante dell'omicidio Alfano). Il ruolo di intermediario, visto il «rapporto di assidua frequentazione» con Canali, lo avrebbe svolto il medico barcellonese Salvatore Rugolo, parecchio conosciuto, nonché figlio di “don Ciccino” Rugolo, vecchio capomafia barcellonese, e cognato del boss Giuseppe Gullotti, che sposò sua sorella Venera. Rugolo è morto a 54 anni in un incidente d'auto nell'ottobre del 2008, mentre a bordo della sua jeep nuova di zecca percorreva la Provinciale per Tripi. I magistrati di Reggio che indagano su questa storia, il procuratore capo Giovanni Bombardieri e l'aggiunto Gaetano Paci, scrivono che Gullotti avrebbe dato «indicazioni mediante la corrispondenza epistolare intrattenuta dal carcere di Cuneo nel 2008 con la sorella Fortunata Gullotti».

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