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I "buttafuori" della mafia nella movida di Palermo e il controllo sui locali: 11 arresti

Un'operazione antimafia è stata condotta a Palermo dai carabinieri, che hanno eseguito un'ordinanza cautelare in carcere nei confronti di undici persone accusate di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Le indagini, coordinate dalla Dda, hanno fatto emergere gli interessi di cosa nostra sul controllo e la gestione di locali notturni nel capoluogo e in provincia. L'organizzazione riusciva a controllare i servizi di sicurezza privata nel locali della movida imponendo gli addetti e le tariffe per ogni operatore impiegato.

La figura di spicco dell'organizzazione, secondo gli inquirenti, era Andrea Catalano che avrebbe sfruttato solidi legami con gli esponenti di vertice dei mandamenti mafiosi di Porta Nuova.

Per eludere la normativa di settore erano state fondate due associazioni di volontari antincendio nell'ambito delle quali venivano formalmente impiegati, in qualità di addetti antincendio, quei "buttafuori" che a causa dei loro precedenti penali si trovavano nell'impossibilità di ottenere la necessaria autorizzazione prefettizia.

Numerose intercettazioni hanno consentito di documentare le estorsioni nei riguardi dei titolari di almeno cinque locali notturni di Palermo e provincia ai quali veniva imposta, mediante violenze e minacce, l'assunzione dei "buttafuori".

Ad esempio Massimo Mulè, ritenuto reggente della famiglia mafiosa di Palermo Centro, arrestato prima nell'operazione Perseo del 2008 e successivamente nel 2018 nell'operazione Cupola 2.0 e che lo scorso agosto era stato scarcerato dal Riesame, aveva imposto che il cognato Vincenzo Di Grazia fosse impiegato stabilmente nella gestione della sicurezza nel corso di diverse serate organizzate presso un noto locale della movida palermitana.

Le lamentele del capo della sicurezza di quel locale, costretto a escludere, a turno, uno degli addetti solitamente impiegati, sarebbero state soffocate dai fratelli Andrea e Giovanni Catalano con minacce pesantissime nei suoi riguardi e dei suoi familiari.

Tra gli arrestati anche Emanuele Rughoo detto Luca, 43 anni, scampato alla morte il 4 novembre dello scorso anno nella tragedia di Casteldaccia, dove morirono nove persone per l’esondazione del fiume Milicia che allagò una villetta abusiva. Rughoo, con la figlia maggiore Manuela e una cuginetta erano andati a comprare i dolci. Oggi è stato arrestato nell’operazione Octopus dei carabinieri con l’accusa di estorsione e le minacce con l’aggravante del metodo mafioso ai gestori del Cafè Verdone di Bagheria. La moglie Monia Giordano, il figlio più piccolo Francesco e la madre Nunzia Flamia di Rughoo morirono nell’inondazione.

Il 18 novembre 2018 le intercettazioni ambientali registravano Rughoo nel locale che diceva, secondo gli investigatori, ai titolari: «Siete fortunati ad essere nelle grazie di Gaspareno che poi questa sera c'è il rischio che qualche madre deve piangere un figlio... io me ne sto andando, di quello che succede dopo io non voglio sapere niente e non sono responsabile di quello che fanno gli altri». Lo scorso 28 aprile si era candidato consigliere comunale nella lista Uniamo Bagheria collegata all’attuale sindaco Filippo Maria Tripoli. Nella consultazione aveva ottenuto 86 voti.

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