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Retata di mafia sulla costa tirrenica, De Lucia: "I mafiosi sono sempre mafiosi"

Da un’informazione strategica si è snodato un lavoro investigativo certosino e imponente. Ancora una volta, messo a fuoco il territorio barcellonese e ottenuti spunti nuovi.

«Dopo l’operazione “Nebrodi” – ha esordito il procuratore di Messina Maurizio De Lucia – è stata eseguita un’altra attività di rilievo. I mafiosi sono sempre mafiosi. Oggi, infatti, figli e nipoti dei boss raccolgono la loro eredità, ma sono impiegati nello spaccio dello stupefacente, per recuperare rapidamente capitali da reinvestire e sostenere gli affiliati in carcere. Fortunatamente – ha aggiunto De Lucia – siamo riusciti a stroncare il traffico prima della stagione estiva, quando il mercato diventa più remunerativo».

Il comandante provinciale dei carabinieri Lorenzo Sabatino ha sottolineato che l’operazione ha visto impegnati 400 carabinieri dei vari reparti, con «59 misure cautelari notificate a persone molte delle quali in stato di libertà». Alcuni arresti effettuati in Calabria, in provincia di Cagliari, Palermo e Catania, oltre a sequestri e perquisizioni, e «“Dinastia” è l’esito di più attività investigative, un insieme di assetti, quindi, sono confluiti nell’attuale inchiesta. Negli ultimi anni, la criminalità ha riservato maggiore attenzione al narcotraffico, in modo da far fonte alle minori entrate del settore delle estorsioni, alle denunce crescenti e alla pericolosità di quelle attività». E' emerso «uno “spaccato – ha evidenziato Sabatino – che rende conto della capacità della mafia barcellonese di rigenerarsi».

«Si tratta di una svolta storica nel modo di vivere dell’organizzazione barcellonese, da sempre contraria al traffico di droga», ha poi spiegato il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio. Secondo cui «il narcotraffico da sempre è stato trascurato perché pericoloso per il territorio, prova ne è il fatto che molti omicidi in passato hanno avuto come causale il traffico non autorizzato di sostanze stupefacenti. “La “famiglia” ha subito duri colpi, quindi ha avuto la necessità di aumentare gli introiti per mantenere in carcere i soggetti arrestati». Lo scopo? «Scongiurare la collaborazione degli affiliati, come nel caso di Aurelio Micale», che ha saltato il fosso ed è passato dalla parte dello Stato, «perché si sentiva “trascurato”». Ecco perché i Barcellonesi «si sono riciclati nel campo della droga».

Antonio Parasiliti, comandante del Ros di Messina, si è soffermato sulle estorsioni. «Abbiamo riscontrato una evoluzione anche nei taglieggiamenti, come quella a due vincitori di 500.000 euro alla Snai». Ricostruito «uno scenario variegato, che conferma come anche tra i “Barcellonesi” bisogna seguire il ricambio generazionale».
Mauro Izzo, comandante del Reparto operativo dell’Arma, ha rilevato che elemento peculiare dell’indagine è che «rivenditori di droga e pusher avevano sempre la consapevolezza di “operare” coi "Barcellonesi"».

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