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Coronavirus e messinesi contagiati in settimana bianca: inchiesta per epidemia colposa e gogna social

Neve, sole, gioia e spensieratezza rappresentano solo un lontano ricordo per la comitiva di messinesi che non ha rinunciato alla settimana bianca in Trentino-Alto Adige. «Perché mai disdire?», avranno detto quando l’emergenza coronavirus si vedeva col binocolo in riva allo Stretto o in Sicilia ma dilagava al Nord. «E chi se ne frega», avranno pensato, se bisogna transitare da aeroporti situati in zone a rischio, in Lombardia o in Veneto, l’ultimo weekend di febbraio, giorno della partenza da Catania, e il 7 marzo, data del ritorno. Lo sci prima di tutto, quelle belle giornate in un’oasi di felicità con tanti momenti fissati da selfie e foto ricordo.

Gli stessi che adesso in molti, passati dall’altro lato della barricata, nel terreno dell’inquietudine e della gogna, si sono apprestati a cancellare dai profili social. Vacanza maledetta, anche se consentita da norme comunque in divenire.

Per molti di loro gli unici paletti erano quelli delle piste e il più importante, quello che reggeva il traguardo, al rientro in riva allo Stretto, una decina di giorni fa, è sembrato invisibile. Ma adesso è la sezione di polizia giudiziaria della polizia a voler vederci bene.

A scandagliare nella rete dei rapporti e dei contatti avuti dai due sciatori risultati positivi ai tamponi, l’agente di commercio cinquantaseienne e il medico cinquantenne. I quali o non conoscevano i dettami sulla quarantena obbligatoria in Sicilia contenuti nell’ordinanza del governatore Musumeci l’8 marzo, o peggio ancora se ne sono infischiati. Così, partite a tennis, colazione al bar elegante e raffinato, commissioni in giro per la città e, tremate, la presenza sui luoghi di lavoro, a contatto sia con clienti che pazienti, hanno scandito la giornata come se nulla fosse.

Proprio dai loro recenti spostamenti dei due contagiati parte l’indagine dell’autorità giudiziaria, che potrebbe sfociare in severi provvedimenti, come auspicato da una cittadinanza indignata di fronte a cotanta irresponsabilità.

L’ipotesi di reato è di epidemia colposa, malattia che fino a ieri avvolgeva il 50enne e il 56enne ma che potrebbe abbracciare altri amici e conoscenti, alcuni dei quali già accusano sintomi preoccupanti quali febbre e tosse. La polizia municipale sta anche ricostruendo il viaggio del gruppo di messinesi, suddiviso in due comitive di una quarantina di persone ciascuna, poi incontratesi a Madonna di Campiglio con altre decine di concittadini.

Fino a sabato 7 marzo, quando gli amanti della montagna sono rientrati alla base con due voli decollati da Bergamo e Treviso o con mezzi privati. Avvocati, medici, notai, professionisti, gente appartenente alla “Messina bene”. Gente conosciutissima, adesso finita nel tritacarne dei social a causa di condotte discutibili e discusse. “Persone informate sui fatti”, la cui posizione, come si dice e si legge spesso, è al vaglio degli organi inquirenti. E che nelle prossime ore potrebbe suggerire severe determinazioni da parte di chi gestisce la delicata inchiesta.

I nominativi, molti dei quali errati, circolano da ore tra le messaggerie istantanee e le pagine Facebook. Sono nelle mani della sezione di Pg e del sindaco Cateno De Luca, che da ieri, con una mossa da sagace investigatore, invita a denunciare chi non si è autodenunciato. Pena la pubblicazione dei “veri” nomi. E la denuncia. Bene che vada.

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