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Funerale del fratello a Messina, l'ex boss Sparacio: "Iniziato un nuovo percorso di vita"

L'ex boss Luigi Sparacio

Il lavoro investigativo della Mobile di Messina sul corteo funebre di sabato scorso al fratello dell’ex boss poi pentito Luigi “Gino” Sparacio, il 70enne Rosario, è proseguito per tutta la giornata. Sono al vaglio i filmati delle telecamere di sorveglianza del Gran camposanto per ricostruire il percorso, e sono state sentite parecchie persone “informate sui fatti”.

Al momento quella aperta in Procura è solo un’inchiesta conoscitiva, finalizzata a vagliare cioé se ci siano estremi di reato. Alle esequie, che si sono svolte sabato scorso, hanno partecipato 39 persone. E si sta procedendo all’identificazione di tutti i presenti. La piccola folla ha accompagnato la salma dall’abitazione di via del Santo al cimitero. Con una sosta, a quanto pare dai primi accertamenti, davanti alla chiesa del Don Orione per la benedizione della salma da parte di un sacerdote, e nei pressi di un esercizio commerciale gestito della famiglia.

La Procura e la Mobile stanno acquisendo gli elementi per accertare sia se ci siano state violazioni del Dpcm che vieta gli assembramenti, emanato per contenere il contagio da Covid-19, sia se tra i partecipanti ci fossero appartenenti a cosa nostra in libertà, ma tenuti a rispettare limitazioni sui movimenti. Rosario “Sarino” Sparacio, in passato finito al centro di diverse inchieste per mafia e più volte condannato per estorsione, secondo i familiari non aveva da anni rapporti con l’ex capomafia.

E Luigi Sparacio, che il 13 febbraio ha compiuto 59 anni, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 dopo essersi “sganciato” dal clan-centro di Gaetano Costa divenne il vero punto di riferimento criminale-mafioso di Messina, per i Santapaola a Catania e la ’ndrangheta in Calabria, ma anche di molti ambienti “bene”, visto che era dotato di grande intelligenza e prontezza di spirito, e sapeva vivere bene, tra un aperitivo a piazza Cairoli nel “suo” bar e un viaggio di lusso.

Gli sequestrarono perfino una Ferrari. Gestiva appalti, usura, estorsioni. Il primo omicidio lo compì a 17 anni, uccidendo il buttafuori del noto ristorante “La Macina”, Sasà Bruzzese. Quando capì che era veramente finita riuscì perfino ad organizzare il suo arresto e il suo pentimento, era il gennaio ’94, fatto passare come una grande operazione di polizia. Poi la fase delle rivelazioni crollò clamorosamente e venne bollato come “falso pentito”, nel ’98 venne arrestato, questa volta sul serio, e spedito al “41 bis”.

Nel 2007 ottenne gli arresti domiciliari, regime che sopporta ancora oggi in una località del centro Italia, ma ancora per poco. Nel 2021 avrà definitivamente scontato il “cumulo” di condanne tra maxiprocessi e procedimenti minori, e tornerà completamente libero.

Anche perché nonostante sia accusato di svariati omicidi non ha mai subito un ergastolo. Di lui non s’era più sentito parlare da molto tempo. Ieri dopo un oblìo ventennale Sparacio si è fatto risentire tramite il suo legale, l’avvocato Piera Basile: «Orbene - scrive il legale a suo nome -, senza entrare nel merito su quanto accaduto perché per il riscontro dei fatti verificatesi accerteranno la verità gli organi a ciò deputati i quali stanno già indagando, con la presente si vuole significare, a nome e per conto del proprio assistito, quanto segue. Dal lontano 1994 il mio assistito ha iniziato a scontare la pena per i reati commessi, non si comprende, pertanto, come mai si stia strumentalizzando il suo nome anche alla luce della circostanza che da oltre un ventennio non è più tornato in Sicilia. Con la presente, pertanto, nel pieno rispetto del diritto di libertà di stampa sancito dall’art. 21 della Costituzione e dell’importantissima funzione sociale esercitata dai giornalisti, a nome del proprio assistito il sottoscritto difensore chiede che non vengano fatte strumentalizzazioni accostando quanto accaduto in Messina durante i funerali di Sparacio Rosario con la passata storia processuale di Luigi Sparacio. Infine, considerato che Sparacio Luigi ha quasi finito di scontare la pena inflitta pagando così il suo debito con la Giustizia e rilevando, altresì, che non è stato interessato negli ultimi tempi da inchieste giudiziarie che accertassero la prosecuzione del suo ruolo di capomafia, si diffida a non volerlo additare come se fosse ancora un mafioso, anche al fine di non volere marchiare a vita una persona che sicuramente ha sbagliato in passato, ma che ha iniziato un nuovo percorso di vita».

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