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Messina, l'intimidazione a Padre Giuseppe Maio: "Non mi spiego un gesto del genere"

Padre Giuseppe Maio ci viene incontro con un gigantesco mazzo di chiavi come un sanpietro intento a gestire gli ingressi del Paradiso, il fisico minuto e l'aria perplessa, ma la sua stretta di mano è forte: «non riesco proprio a spiegarmelo, mi creda». Nel piazzale della chiesa S. Maria della Consolazione di Gravitelli Inferiore, un rione arlecchino di cemento e mattoni a due passi dal centro con un passato e forse pure un presente problematico e criminale, c'è ancora la sua auto. Gliel'hanno bruciata l'altra notte, una Panda nuova nuova, l'odore della plastica deformata arriva ancora forte al naso.

Con lui nello spiazzo insieme ad altri giovani venuti a manifestargli la loro vicinanza c'è una vecchia conoscenza, Franco Riggio, uno degli assessori della giunta Providenti, da sempre impegnato nel mondo cattolico, che nella sua nuova pseudovita dopo il feroce dolore subito e mai dimenticato per la perdita di un figlio, ha deciso di stargli accanto facendo di tutto, dalle piante innaffiate alle panchine pitturate: «Credimi, è un prete eccezionale, ma la zona è difficile», dice. Padre Maio ha 41 anni, è cagliaritano d'origine ma dal 1988 risiede a Messina, ha un dottorato in Diritto canonico e anche un diploma in direzione d'orchestra. È lui stesso che racconta com'è andata. E mentre lo fa dimostra tutta la sua grande forza interiore, Gravitelli dovrebbe stringersi intorno a lui. Ieri sera lo ha fatto, alla messa c'era molta più gente del solito, e don Giuseppe era felice di questo.

Il sacerdote, in queste ore, ha incassato anche la solidarietà dell'Istituto clinico polispecialistico: "Un episodio di una gravità inaudita che ferisce un intero quartiere e colpisce un uomo, don Maio che pone in primo piano le necessità dei suoi fedeli mettendosi al servizio della comunità".

«Era circa mezzanotte - racconta -, mi ero ritirato da poco, avevo festeggiato il compleanno di una ragazza ministrante, con la sua famiglia... ho parcheggiato la macchina, sono salito in canonica, e mi sono messo a lavorare al computer. Improvvisamente ho sentito uno scoppio, un'esplosione, ma siccome a volte nel quartiere ci sono un po' di petardi sul momento non ci ho fatto caso... poi però mi ha colpito il fatto che tutto fosse molto vicino, ho guardato nella telecamera... il fumo proveniva dalla mia macchina... mi sono precipitato e ho visto le fiamme... poi sono arrivati i pompieri e i carabinieri, abbiamo rivisto il filmati... ma si vede solo il fiotto di benzina, o d'alcol, con un ritorno di fiamma notevole...».

Quindi chi lo ha fatto sapeva della telecamera?

«Io direi di sì, in pratica non si sono introdotti nel nostro spiazzo, ma hanno sfruttato il cortile del palazzo confinante, hanno sparso tutto dalla ringhiera».

S'è dato una spiegazione?

«Mah... guardi, da due anni a questa parte non ha mai avuto degli scontri, o comunque nulla che giustifichi un gesto del genere. Sono qui dal 4 agosto del 2018... questa cosa mi ha colpito molto perché non era nell'aria, come si suol dire. Durante il mio ministero ho dovuto dire qualche “no”, soprattutto quando si tratta delle spinose questioni dei padrini o delle madrine che devono presenziare per esempio ai battesimi, e non hanno i sacramenti... in quel caso, purtroppo, mio malgrado, spiego che non è possibile».

C'è un caso recente?

«Direi di no, assolutamente, ma comunque sono state cose tutte risolte direi con fraternità da parte di tutti... lo ribadisco, non ci sono situazioni che giustifichino un gesto del genere».

Ha ricevuto mai minacce?

«Mai, assolutamente, non riesco a darmi una spiegazione, e sono perplesso per questo... e il mio sentimento principale è un po' una confusione, cerchi di andare indietro nel tempo... in questo breve lasso di tempo, in questi due anni, per cercare di capire se hai magari “pestato i piedi”, ma non credo che ci siano dei “mal di pancia” tali da poter giustificare una cosa del genere... ma allo stesso tempo direi che non è il gesto di uno che si ubriaca e brucia una macchina, perché c'è comunque un'attenzione, una premeditazione».

Che significa fare il parroco qui a Gravitelli per lei?

«Intanto le rispondo così: è la mia prima esperienza parrocchiale, quindi è difficile dirle cosa significa fare il parroco a Gravitelli, le posso dire più semplicemente cosa significa fare il parroco da due anni... è un'esperienza bella, impegnativa, difficile perché è un'esperienza che ti fai giorno per giorno sul campo... ti trovi in una realtà molto, molto eterogenea... che ha tante ricchezze e conosce purtroppo anche, diciamo così, limiti... il mio principio è stato sempre quello di far percepire a tutti il senso dell'accoglienza, non mi permetto mai di fare differenze di nessun tipo... è chiaro che ci sono delle difficoltà pratiche, amministrative, la parrocchia non naviga nell'oro, son partito con una situazione amministrativa... diciamo così... un po' austera... e per uno che non ha mai fatto il parroco questa cosa ha avuto chiaramente un peso maggiore».

L'arcivescovo le è vicino?

«Sì sì, è presente, oggi mi ha chiamato, è stato affettuoso, e come sempre allo stesso tempo concreto, ci siamo ripromessi di incontrarci faccia a faccia presto».

La domenica come vanno le cose alle messe?

«Sì, la domenica viene la gente... celebro soltanto una messa, all'inizio del mio ministero sull'onda dell'entusiasmo ne avevo inserito una seconda al pomeriggio, ma è stata da sempre pressoché deserta, per cui mio malgrado l'ho dovuta sopprimere alla fine del mio primo anno. Adesso la domenica celebro soltanto una messa alla mattina... poi ho subito cercato di avviare alcune attività, la catechesi, ho cercato di dare spazio e attenzione alle famiglie meno fortunate, abbiamo un banco alimentare fondamentalmente autogestito a disposizione dei parrocchiani, penso anche al pagamento delle bollette per chi non ce la fa... avevo iniziato la benedizione delle case poi l'abbiamo dovuta interrompere per il covid... sinceramente non posso che dire che mi sono sentito ben accolto, e questo gesto mi colpisce anche per questo».

E i ragazzi che frequentano la parrocchia che dicono dopo il gesto dell'altra notte?

«Beh, i ragazzi sono pochi, ce ne sono alcuni, oggi raccoglierli è difficile, ma parlo da parroco inesperto, ad oggi non stanno per strada ma rinchiusi in casa, alcuni ci sono per carità, ma la maggior parte stanno rinchiusi in casa, per cui è difficile... c'era una cooperativa di doposcuola che aveva introdotto il mio predecessore, gestita da privati, poi è passata al Comune, per cui con la fine di quest'anno ho ritenuto opportuno non procrastinare l'ospitalità, fondamentalmente perché desideravo dare uno spazio alla comunità, e anche ai ragazzi»

È scoraggiato dopo quello che è successo?

«No, non sono scoraggiato, sono perplesso, le dicevo, non riesco a decifrare il gesto, e questo mi dà un senso... diciamo così, di difficoltà«

Pensa di aver dato fastidio a qualcuno, Gravitelli è un quartiere difficile, anche con risvolti mafiosi, il passato ce lo insegna?

«Dal mio punto vi sta direi di no... sì il passato, due anni forse sono pochi, ma ho la sensazione che il quartiere si è abbastanza modificato... certo aveva una nomea abbastanza complicata, sì mi sono accorto di difficoltà, di limiti, ma mi sono fatto l'idea che con il passare del tempo qualcosa si sia stemperato... poi onestamente io faccio il parroco, il che non vuol dire non vedere, vuol dire dover accogliere anche le miserie umane».

Ne ha accolte in quest'ultimo periodo?

«Parecchie, però non sul versante come diceva lei mafioso, le miserie sono trasversali, non sono legate al reddito ma al fatto che l'essere umano porta con sè delle fragilità».

Ha aiutato donne che hanno subito violenze?

«Beh... in confessione possono capitare racconti di questo genere, aiutare... magari potessi aiutarle».

Attraverso il giornale che cosa vuol dire a chi ha fatto questo gesto?

«Beh... che mi dispiace molto, e che sicuramente ha ferito me ma credo che ha ferito anche sè stesso, con un gesto di chi in qualche modo si trincera dietro l'anonimato... mentre bisogna sempre parlare, interloquire».

E se viene a chiederle perdono?

«Lo perdono...».

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