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Mafia dei pascoli, i clan dei Nebrodi non scelgono l’abbreviato

Il carcere di Gazzi

La prima ora della maxi udienza preliminare dell’operazione Nebrodi sulla mafia dei pascoli, mercoledì mattina, all’aula bunker di Gazzi, è stata veramente infuocata. Con gli avvocati letteralmente sul “piede di guerra” che invocavano tutti, e in tutti i modi, un rinvio per l’emergenza Covid. Questo per «una mancanza delle condizioni di sicurezza e di regolare distanziamento in aula». Dalle 9 del mattino si è arrivati quasi fino alle 10,30 per risolvere questo problema. E poi dopo il rigetto dell’istanza di rinvio da parte del gup Simona Finocchiaro, l’udienza è andata avanti quasi fino alle tre del pomeriggio, per incardinare un po’ tutte le procedure, con un calendario che adesso arriva fino a metà dicembre. Del resto si tratta di un maxiprocesso a tutti gli effetti sulle truffe agricole all’Agea e all'Unione Europea dei clan mafiosi tortorciani, che vede alla sbarra ben 133 imputati (i detenuti erano tutti in videoconferenza), mentre gli avvocati impegnati nelle difese sono ben 84. Ieri mattina a rappresentare l’accusa c’erano invece il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e il sostituto della Distrettuale antimafia Antonio Carchietti, ovvero due dei magistrati che insieme ai colleghi Fabrizio Monaco e Francesco Massara hanno seguito l’indagine Nebrodi, portata avanti nei mesi scorsi dai carabinieri del Ros e dalla Guardia di Finanza. L’inchiesta ha delineato i nuovi assetti delle due storiche associazioni mafiose tortoriciane, i Bontempo Scavo e i Batanesi, che oltre all’egemonia nella zona nebroidea erano in grado di interfacciarsi con le “famiglie” di Catania, Enna e del mandamento delle Madonie di Cosa nostra palermitana. I Batanesi avevano influenza in provincia di Enna grazie a una “cellula” nel territorio di Centuripe, e intervenivano in alcune dinamiche mafiose a Regalbuto e Catenanuova, sfruttando i buoni rapporti con esponenti della criminalità locale. La loro influenza si estendeva pure a Montalbano Elicona, un tempo feudo dei Barcellonesi.

Le istanze dei difensori
Ieri mattina, in apertura, tutti gli avvocati hanno protestato in blocco, chiedendo maggiori garanzie sullo svolgimento in sicurezza dell’udienza. Dopo il rigetto dell’istanza di rinvio s’è passati alle questioni tecniche. Il gup ha accolto per esempio alcune eccezioni di nullità per mancata notifica dell’atto di chiusura delle indagini preliminari ai difensori di alcuni imputati (Alfio Cartia, Maurizio Di Stefano, Giovanni Vecchio), e ne ha rigettate altre incentrate sullo stesso motivo (Fabio Cristoforo Mancuso, Antonia Strangio, Giuseppe Costanzo Zammataro n. 1982, Salvatore Bontempo, Calogero Barbagiovanni, Domenico Coci). Il gup ha accolto invece l’eccezione dei difensori di alcuni imputati che si trovavano da residenti in “zona rossa” (Jessica Coci, Ivan Conti Taguali, il sindaco di Tortorici Emanuele Galati Sardo), rinviando la trattazione della loro posizione all’udienza del 25 novembre. Ci sono state poi due istanze per il classico “legittimo impedimento” presentate da Massimo Faranda (accolta) e Rosaria Coci (rigettata).

I riti alternativi
Se uno dei “capi” dei tortoriciani ha scelto l’abbreviato non molti lo hanno seguito, come in genere succede per le famiglie mafiose. Anzi, a dire il vero la mafia dei Nebrodi, almeno fino a ieri mattina, si potrà sempre cambiare idea nel corso della prossime due udienze, non sembra orientata affatto a scegliere il rito ordinario per essere giudicata. In ogni caso ieri solo 9 dei 133 imputati hanno “ufficialmente” scelto il rito abbreviato, e tra loro c’è appunto uno dei capi, ovvero Sebastiano Bontempo (del ’69) “u uappu”. Poi ci sono i tre collaboratori di giustizia Carmelo Barbagiovanni, Salvatore Costanzo Zammataro e Giuseppe Marino Gammazza. E poi ancora Samuele Conti Mica, Giuseppe Bontempo (cl. ’64), Francesco Protopapa e Maria Felice. L’unico imputato “eccellente” che ha chiesto il rito abbreviato è il notaio Antonino Pecoraro. Allo stato sono state inoltrate, o annunciate, anche alcune richieste di patteggiamento della pena (a quanto pare Antonino Russo e Giuseppe Condipodero Marchetta), e il gup si è riservata la decisione su queste e altre istanze analoghe.

Le prossime udienze
Sempre ieri il gup Finocchiaro ha poi stilato un calendario d’udienza per il maxiprocesso che si spinge fino a dicembre, per scalettare tutti gli interventi e chiudere il cerchio prima che finisca l’anno. Eccolo: il 18 novembre si costituiranno formalmente le tante parti civili interessate, e il giudice deciderà sulle istanze di patteggiamento; il 25 novembre si terrà la discussione dei pubblici ministeri, degli avvocati delle parti civili, ed è anche la data fissata del termine ultimo per presentare istanze di riti alternativi; il 2, 4 e 11 dicembre sono le date riservate per gli interventi dei difensori; il 18 dicembre si terrà la discussione dei pubblici ministeri e dei difensori per quanto riguarda i 9 (allo stato, ma il numero potrebbe crescere) riti abbreviati.

E i Batanesi chiesero la legna gratis all’imprenditore Gulino
Hanno preteso la sua legna da ardere per l’inverno “gratis” i tortoriciani, la prima volta. La seconda gli hanno chiesto cinquemila euro in contanti per lasciarlo in pace, ma li ha coraggiosamente denunciati. E ieri mattina l’imprenditore di legname Carmelo Gulino, s’è costituito parte civile nel maxiprocesso Nebrodi con il suo avvocato, Nino Todaro. Il legale ha depositato l’atto nei confronti di Sebastiano Bontempo cl. ’82, Giuseppe Costanzo Zammataro e Mario Gulino (l’episodio della legna ottenuta dal suo deposito di Montalbano), e nei confronti di Calogero Barbagiovanni e Sebastiano Destro Mignino (la richiesta di cinquemila euro). Gulino è l’unico imprenditore privato che ieri mattina ha chiesto di costituirsi parte civile. Ci sono poi enti e associazioni che hanno avanzato l’istanza: l’assessorato regionale al Territorio e Ambiente con l’Avvocatura dello Stato, il Comitato Addiopizzo con l’avvocato Fabrizio Ribaudo, le associazioni antiracket Acis di Sant’Agata Militello e Aciap di Patti con l’avvocato Natalino Venuto, l’associazione nazionale “Sos Impresa - Rete per la Legalità” con le diramazioni regionale siciliana e provinciale di Messina con l’avvocato Natalija Bukumirovic, la “Sos - Impresa” con l’avvocato Fausto Amato, il sindacato della Cgil siciliana e messinese con l’avvocato Ettore Cappuccio, e infine la onlus “Solidalia” con l’avvocato Maria Luisa Martorana.

«Gli odierni imputati - si legge nell’atto di costituzione depositato dall’avvocato Bukumirovic -, tutti appartenenti alla criminalità mafiosa, hanno, dunque, operato un rigoroso controllo mafioso in Tortorici, Messina e territori limitrofi, dall’anno 2010 sino all’attualità. Gli stessi, alla stregua delle abitudini locali criminali hanno posto in essere una condotta mafiosa che si ben qualifica come una tipica e stereotipata azione vessatoria e coercitiva volta all’accaparramento di un ingiusto profitto ovvero all’acquisizione di attività economiche, tipica del metodo mafioso, avvenuta in linea con il modus operandi adottato dagli affiliati all’organizzazione mafiosa “Cosa Nostra” che si avvalgono della forza d’intimidazione del vincolo associativo e dell’assoggettamento e omertà che ne deriva. Metodo imperniato sulla “forza d’intimidazione” che ha un ruolo di elemento cardine, di specifico spartiacque volto a circoscrivere la nozione penalmente rilevante di “associazione mafiosa».

E con una nota Pippo Scandurra, vicepresidente nazionale di “Sos Impresa-Rete per la Legalità”, sottolinea che «oggi più che mai è indispensabile sostenere e valorizzare le costituzioni di parte civile nei processi contro le organizzazioni mafiose, e bisogna stare al fianco di chi è “toccato”, agli imprenditori che hanno denunciato le richieste di pizzo. E per altro verso non è più possibile far costituire delle associazioni che non seguono costantemente il territorio e non conoscono nemmeno gli imprenditori taglieggiati».

I difensori:«Non ci sono le condizionidi sicurezza»
A nome di tutti i difensori ieri mattina, in apertura d’udienza, ha preso la parola il presidente della Camera penale di Messina “Pisani-Amendolia”, Bonni Candido («gli avvocati non sono figli di un dio minore e meritano rispetto»), rappresentando il forte disagio per gli avvocati ad andare avanti in quelle condizioni. C’era anche un’avvocatessa in stato interessante che ad un certo punto ha ritenuto per cautelarsi di dover lasciare l’aula, e poi alcuni difensori a quanto pare sono rimasti anche in piedi. C’è stato poi un problema legato al fatto che un avvocato ha dichiarato di essere risultato positivo a seguito di tampone del 30 ottobre, e poi il 2 novembre l’Asp gli ha comunicato che poteva uscire da casa per una questione di tempistica, ma non ha mai attestato la sua negatività. Il legale ha dichiarato di non essere in isolamento e però di non potere avanzare istanza di impedimento, ma ha rappresentato la situazione, chiedendo un rinvio. Il giudice Finocchiaro lo ha fatto regolarmente entrare in aula per intervenire, scatenando però una forte contestazione dei difensori («... il Giudice ha ritenuto di doverlo invitare - circostanza poco piacevole per il collega così, di fatto, pubblicamente indicato come potenziale fonte di contagio - a distanziarsi da tutte le persone in aula»). «Contestiamo fortemente la decisione di non rinviare l’odierna udienza – ha dichiarato al termine dell’udienza il presidente della Camera penale Bonni Candido –. Ci auguriamo che nessuno abbia conseguenze sanitarie ma siamo fortemente preoccupati per i possibili contagi». Nel pomeriggio l’avvocato Candido ha convocato un direttivo per esaminare quanto accaduto, poi ha inviato una lettera al presidente del Tribunale Moleti, al presidente della Corte d’appello Galluccio e al procuratore generale Barbaro.

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