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Erano vicini a Messina Denaro, 13 fermi a Trapani: indagato anche un sindaco

Una ventina di indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso

Sono 13 le persone destinatarie del fermo della Dda di Palermo ed eseguito stanotte dallo Sco della polizia e personale delle Squadre Mobili di Palermo e Trapani nel mandamento di Alcamo, in provincia di Trapani, territorio sotto il controllo del boss latitante Matteo Messina Denaro. Alcuni dei fermati sono considerati «vicini» al boss latitante - detto «U siccu» - dal 1993. I reati contestati sono, a vario titolo, associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso o comunque per essere stati finalizzati a favorire Cosa Nostra.

Nel corso del blitz - coordinato dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Francesca Dessì e Piero Padova - è stato anche notificato un avviso di garanzia al sindaco di Calatafimi-Segesta, Antonino Accardo, indagato per tentata estorsione e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. Il personaggio chiave dell’indagine è Nicolò Pidone, considerato il capo della famiglia mafiosa di Calatafmi-Segesta, già condannato per 416 bis nell’ambito dell’indagine denominata Crimiso.

Era infatti in una «fatiscente depandance» - attigua alla sua masseria - che organizzava i summit della cosca durante i quali venivano prese le decisioni più rilevanti. A confermare lo «spessore» criminale di Pidone anche i contatti privilegiati con soggetti e personaggi «intermandamentali», con soggetti di altre famiglie mafiose. Tra gli indagati anche altri condannati per mafia come Rosario Leo, pregiudicato che vive a Marsala (cugino di Stefano Leo, molto vicino al boss di Mazara del Vallo Vito Gondola, poi morto, e a Sergio Giglio, coinvolto nell’inchiesta sui favoreggiatori del capomafia Matteo Messina Denaro) e alcuni insospettabili accusati di favorire le comunicazioni tra il capo famiglia e gli affiliati, come l’imprenditore Domenico Simone, 46 anni e Salvatore Barone, fino alla trascorsa estate presidente del Consiglio di amministrazione pro tempore dell’azienda per i trasporti Atm di Trapani, già direttore generale della stessa compagine societaria a partecipazione pubblica.

Fermati anche l’imprenditore Leonardo Urso, enologo, accusato di favoreggiamento, e l’imprenditore agricolo Andrea Ingraldo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Fermato anche l’allevatore Gaetano Placenza, l’enologo Leonardo Urso, l’imprenditore agricolo Andrea Ingraldo, di origini agrigentine, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (per aver assunto fittiziamente il leader della famiglia di Calatafimi Nicolò Pidone). Tra i fermati stanotte anche Giuseppe Aceste, Antonino Sabella, Giuseppe Fanara, Giuseppe Gennaro, Francesco Domingo, Sebastiano Stabile, Salvatore Mercadante e Ludovico Chiapponello. Tra gli indagati un agente della Polizia penitenziaria, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio, commesso al fine di agevolare Cosa Nostra.

Cinquanta euro a voto

Nel blitz, come detto, è coinvolto anche il sindaco di Calatafimi Segesta, Antonino Accardo, 73 anni. Al primo cittadino - insegnante in pensione ed eletto sindaco alle amministrative dell’aprile 2019 - è stato notificato un avviso di garanzia con l’accusa di tentata estorsione e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. Secondo i pm della Dda palermitana avrebbe pagato 50 euro a voto alle scorse elezioni cittadine. Nel blitz - coordinato dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Pierangelo Padova e Francesca Dessì - sono stati fermate 13 persone accusate di essere vicine al boss latitante Matteo Messina Denaro

 

 

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