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Sicilia zona gialla, bar e ristoranti "riaprono" ma "basta improvvisazioni"

Da oggi la Sicilia torna gialla, con la possibilità di consumare cibi e bevande all’interno dei locali fino alle 18. Bar, pub e ristoranti hanno accolto il passaggio a una fase caratterizzata da minori restrizioni con cauto ottimismo. Gigi Mangia, chef e ristoratore del noto locale in via Belmonte, nel centro di Palermo, dice all’AGI di essere «lieto» di riaprire al pubblico, ma «ancora non sappiamo cosa succederà. Siamo abituati a provvedimenti un po' improvvisati, ma non ce l’aspettavamo dal nuovo governo Draghi», lamenta con riferimento alla richiesta lanciata dal virologo Andrea Crisanti di un nuovo lockdown per contrastare la diffusione dei contagi.

«Spero che adesso ci dicano sul serio quello che dobbiamo fare - prosegue - anche perché mi rendo conto che non sarà possibile continuare con i ristori. Peraltro, dall’inizio della pandemia, ho ricevuto il contributo solo la settimana scorsa, poco meno di 2 mila euro a fronte di oltre 20 mila attesi». Da oggi si riparte, però, in maniera soft: «Solo io e mia moglie, i collaboratori infatti restano a casa perché al momento mancano certezze». E le prenotazioni? «Per San Valentino sono arrivate decine di richieste ma l’ordinanza vietava la riapertura - nota sconsolato - stamattina appena una persona». E’ pur sempre un inizio anche se «dopo un anno di questo massacro non saranno sufficienti i ristori per tenere in vita le attività. Spero che alla fine non si faccia macelleria sociale, ma mi attendo una moria di posti di lavoro incalcolabile perché non tutte le aziende potranno sopravvivere».

Chi non ha perso la fiducia in una rapida ripresa è Marcello Catuogno, il titolare del ristorante le Antiche Mura, a Mondello: «Noi siamo una delle poche aziende solide e serie e riapriremo presto con la speranza di fare il triplo del fatturato - afferma - ci stiamo già attrezzando ma di certo non oggi perché da sempre per noi il lunedì è un giorno di riposo: tra mercoledì e giovedì, giusto il tempo di provvedere alla sanificazione del locale». Uno chef, due camerieri e un lavapiatti e «gli altri 15 dipendenti li lascio a casa anche perché la media che facciamo a pranzo in inverno è di 10-15 clienti al giorno». Non nasconde, tuttavia, i timori per un repentina chiusura, l’ennesima: «Chi è al governo non ha capito nulla, siamo esasperati e così facendo ci stanno distruggendo. Poi, però, ci hanno dato i ristori: in un anno e mezzo 8 mila euro, quando spendo altrettanto per fare la spesa. A San Valentino avrei fatto una valanga di prenotazioni - aggiunge amareggiato - preferirei una chiusura totale da ottobre fino a marzo ma non questa continua incertezza».

Riaprire a pranzo non è decisivo per «le sorti del nostro settore», sottolinea ancora all’AGI Giuseppe Bonomo dalla enoteca Butticè: «Siamo conosciuti soprattutto come locale d’aperitivo e chiudere alle 18 per noi è una perdita non indifferente. L’aspetto paradossale è che mentre noi, come gran parte dei miei colleghi, dobbiamo rimanere chiusi, altri negozietti continuano impunemente a vendere bevande e alcolici oltre l’orario consentito creando calca e assembramenti in barba alle norme anticovid. Così veniamo scavalcati senza poter fare nulla: non è una guerra tra poveri ma un discorso di responsabilità». Per questo Bonomo insiste sulla necessità di allungare la fascia di apertura al pubblico fino alle 21: «Non cambierebbe nulla in termini di rischi, ma consentirebbe a noi ristoratori di lavorare offrendo un servizio ai clienti in totale sicurezza, il contrario di ciò che accade oggi». Sul fronte dei ristori, «abbiamo ricevuto quelli relativi allo scorso anno, circa 30 mila euro ma sono solo una goccia nell’oceano: non ci sono serviti nemmeno per pagare le tasse». Anche rispetto alle perdite con «un calo nel 2020 del 35 per cento di fatturato» però quando riprendi «riparti subito». Insomma l’auspico, anche in questo caso, «è di non dovere chiudere più perché più andiamo avanti più ritengo irreversibile il declino per l’intero settore», conclude.

 

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