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Etna: il vulcano ha un "cuore pulsante", e ha cambiato volto. Lo studio

L’Etna ha cambiato volto in tre anni e ha un «cuore pulsante": un meccanismo, quest’ultimo, presente probabilmente nei vulcani del resto del pianeta. Si tratta di un serbatoio magmatico più profondo che ne alimenta costantemente uno più superficiale, dove i gas pressurizzano dando origine alla raffica di fontane di lava. Lo ha scoperto un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), che ha pubblicato il modello di descrizione sulla rivista scientifica 'Applied Sciences'. «Parliamo di 300 metri cubi al secondo di magma, due tonnellate e mezzo al metro cubo - spiega all’AGI Alessandro Bonforte, primo autore della ricerca - estremamente energetica dal punto di vista meccanico e da quello termodinamico. Il meccanismo funziona sempre allo stesso modo, anche ni parossismi di febbraio-aprile».

Tutto tace finché la pressione esercitata dal gas presente all’interno del magma non risulta troppo elevata, in sostanza si apre la valvola e si verifica il parossismo, che drena il magma dalla sorgente più superficiale e dal resto del sistema, che è continuo. Una volta scaricata la pressione in eccesso, la valvola si chiude e il ciclo ricomincia, col magma che riprende a spostarsi dal serbatoio profondo a quello superficiale. Questo meccanismo potrebbe rappresentare un modello concettuale valido per eventi di natura simile sull'Etna e su altri vulcani nel mondo».

Nel vulcano, insomma, non agisce «una sola pentola a pressione, ma due», continua Bonforte all’AGI. «Ciò avviene in presenza di condizioni particolari, che non si verificano facilmente. E’ la natura a consentirlo.

Il vulcano, intanto, ha cambiato faccia. L’Etna, spiega il vulcanologo Boris Behncke mostrando alcune foto del profilo della Muntagna (come la chiamano in Sicilia) - è in costante evoluzione e cambiamento, forse più che qualsiasi altro vulcano su questo pianeta. Questa evoluzione è più evidente nel caso del Cratere di Sud-Est, il più giovane e più attivo dei quattro crateri sommitali del vulcano. Con la serie di parossismi di febbraio-aprile 2021, questo cratere è cambiato ancora una volta in maniera sconvolgente e non è riconoscibile. Del vecchio cono del Sud-Est, che nel 2000 era singolo e cospicuo, non resta praticamente più nulla di visibile (solo se guardato da sud se ne vede ancora una 'gobbà). Qui sull'Etna, la Terra sta ancora nascendo». Le forme della natura, aggiunge Bonforte, sono «anche quelle delle superfici testate da un equilibrio di forze». «Nel caso di un vulcano - sottolinea - tra una forza endogena che tende a costruire la montagna e le forze esogene come l’erosione, la neve, il vento, che tendono a consumarla. In un vulcano così attivo come l’Etna, le energie in gioco sono altissime e i fenomeni sono violenti, sia quelli costruttivi sia quelli distruttivi. Tutti i fenomeni di crollo del cratere di Sud-est sono fenomeni distruttivi, di gravità: frana giù sotto il suo stesso peso». E’ in corso una lotta tra due opposti, che dà vita a una trasformazione: «Panta rei - conclude Bonforte - è un principio già scoperto oltre duemila anni fa. Nel momento in cui ci si ferma, c'è la morte».

Lo studio, dal titolo «Combining high- and low-rate geodetic data analysis for unveiling rapid magma transfer feeding a sequence of violent summit paroxysms at Etna in late 2015» si è concentrato su una serie di quattro fontane di lava che hanno interessato il cratere Voragine del vulcano siciliano nel dicembre del 2015. Gli scienziati hanno analizzato le deformazioni del vulcano per risalire alle sorgenti magmatiche delle sequenze delle violente eruzioni, per comprenderne le dinamiche e definire il sistema di alimentazione dell’Etna in grado di produrre un così rapido accumulo e violento rilascio del magma. «La nostra analisi dei dati di deformazione del suolo, ottenuti utilizzando dati ad alta frequenza tilt e GNSS (Global Navigation Satellite System) e immagini satellitari DInSAR (Differential Interferometric Synthetic Aperture Radar), ha riguardato un periodo di 12 giorni comprendente l’intera sequenza eruttiva del dicembre 2015», aggiunge il team dell’Ingv. «Tali misurazioni - prosegue - ci hanno permesso di definire le complesse interazioni tra le diverse zone di stoccaggio in cui è stato temporaneamente immagazzinato il magma eruttato con i parossismi».

Ecco la dinamica: il magma si trasferisce da una camera profonda a una più superficiale. Lì, ricco di gas, staziona temporaneamente accumulando pressione. «La sorgente di pressurizzazione profonda fornisce magma ricco di gas a un serbatoio più 'superficialè situato a una profondità di circa 1,5/2 km», spiega Bonforte. «Quando la pressione del gas supera quella di contenimento delle rocce si verifica l’eruzione violenta sotto forma di parossismo. Questo meccanismo combinato di due livelli di 'stoccaggiò del magma a diverse profondità rappresenta, dunque, il possibile 'motorè delle sequenze di eventi così rapidi e violenti».

Tali parossismi, spiega ancora Bonforte, drenano non soltanto il materiale magmatico accumulato nel serbatoio più superficiale, ma anche parte di quello che staziona nel resto del sistema di alimentazione del vulcano. Viceversa, quando la pressione del gas diminuisce, il parossismo si arresta: la valvola si chiude, e il serbatoio più profondo (situato a circa 6 km di profondità) inizia nuovamente a ricaricare quello superficiale, così come il flusso sanguigno nel cuore che viene pompato dall’atrio al ventricolo e poi dal ventricolo all’esterno del cuore. «Il modello da noi proposto - sottolinea il ricercatore - suggerisce un meccanismo simile a quello di un cuore pulsante, in cui un serbatoio di media profondità, a circa 6 km, carica un serbatoio più superficiale, a circa 2 km; questo serbatoio si trova ad una profondità che consente al gas di separarsi dal resto del fuso, aumentando così la pressione, un po' come quando si vedono le bollicine formarsi in una bottiglia di una bevanda gasata.

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