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Poliziotto di Raffadali (Agrigento) uccide il figlio 24enne: "Voleva soldi in continuazione"

Tragedia nell’agrigentino, vittima aveva disagio psicologico

Voleva soldi, in continuazione, per comprare prodotti d’ultima generazione di elettronica. Il padre gli dava circa 600 euro al mese, ma quel denaro non bastava mai. E così, quando si incontravano, iniziavano le minacce, gli spintoni e le botte da parte del figlio. L’ultima richiesta era di 30 euro, ma quando stamani si sono visti il figlio ne pretendeva 50 e di fronte al rifiuto del genitore ha cominciato a inveire e gli ha sfilato il portafogli. «Bastardo, mi devi dare altri 15 euro...».

Gaetano Rampello, 57 anni, assistente capo in servizio al decimo reparto Mobile di Catania, a quel punto ha estratto la pistola d’ordinanza - e in piena piazza Progresso a Raffadali (Agrigento) - ha scaricato l’intero caricatore addosso al figlio ventiquattrenne, Vincenzo Gabriele. L’omicidio è avvenuto sotto l’impianto di videosorveglianza installato dal Comune e le telecamere hanno ripreso tutto in diretta. L’assassino si è poi allontanato andandosi a sedere su una panchina, in attesa dell’autobus di linea. Sul posto si sono precipitati i carabinieri di Raffadali e tutte le pattuglie dell’Arma del comando provinciale. I carabinieri - coordinati dal maggiore Marco La Rovere e dal capitano del Nor Alberto Giordano - sono riusciti a rintracciare subito l’assassino, peraltro reo-confesso. Sul luogo del delitto anche il comandante provinciale dell’Arma: il colonnello Vittorio Stingo e il sostituto procuratore Chiara Bisso, nonché il medico legale Alberto Alongi.

Rampello, assistito dal suo difensore, l’avvocato Daniela Posante, è stato sottoposto all’esame dello Stub e poi ha reso una piena confessione ai carabinieri. Il poliziotto ha svelato il movente del delitto: il giovane aveva un disagio psicologico e, per tre anni, secondo il racconto fatto dal padre, era stato ricoverato in una struttura. «Conoscevamo tutti Vincenzo Gabriele Rampello, aveva una vita sociale un pò turbolenta, ma veniva accettata da tutti il paese. Il ragazzo aveva avuto un’infanzia difficile per via della separazione dei genitori. Il papà, per lavoro, viveva a Catania. La mamma, invece, a Sciacca - racconta il sindaco di Raffadali, Silvio Cuffaro -. Vincenzo Gabriele, dopo la separazione dei suoi genitori, era rimasto a vivere da solo a Raffadali, ma c'era uno zio che si prendeva cura di lui. Era introverso e molto diffidente. Non lavorava e veniva mantenuto dal papà che mensilmente tornava per stare un pò con lui e per dargli il necessario sostentamento economico».

A Raffadali si valuta la possibilità di proclamare il lutto cittadino: «Perché si tratta di una giovane vita - spiega il sindaco -. Una vittima di se stesso e delle incomprensioni in cui ha vissuto». «I recenti episodi di tragica ed inaudita violenza avvenuti in questi giorni nell’Agrigentino hanno evidenziato malesseri profondi all’interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio-sanitario-assistenziale non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività», osserva il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio. «Troppo spesso quelli che vengono definiti 'gesti di follià sono il portato di conflitti sociali e familiari che il 'sistemà, inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di adeguatamente e legittimamente arginare e contenere».

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