È stato il messinese più “vicino” al governo Musumeci, ha lavorato gomito a gomito prima con Ruggero Razza, “delfino” del governatore, e poi con quest’ultimo. È stato protagonista, suo malgrado, di un evento storico come la pandemia. Oggi, con le dimissioni di Musumeci, si chiude (almeno per adesso) anche l’esperienza di Ferdinando Croce a Palermo. Ed è tempo di bilanci su un periodo in cui «ho potuto coniugare il mio percorso professionale con la passione, senza dover essere per forza deputato o assessore».
Ed è finito catapultato in qualcosa di enorme come la pandemia.
«In futuro si potrà guardare in modo ancora più oggettivo a com’è stata gestita la pandemia in Sicilia. Le agenzie di rating specializzate ci danno un giudizio non negativo. Ma la percezione di un fenomeno entrato in tutte le case non va sottovalutata, anzi. L’aspetto organizzativo è stato epocale, ci si è trovati a dover ragionare su modelli nuovi. Oggi con i fondi del Pnrr si stravolgerà il sistema ospedaliero, specie per quanto riguarda il territorio, perché non va dimenticato che le carenze messe a nudo derivano da decenni e hanno determinato un overbooking negli ospedali».
Ma la struttura ospedaliera era adeguata? E lo è oggi? Insomma, la lezione l’abbiamo imparata?
«All’inizio l’andare per tentativi portò a convertire i reparti, facendo soffrire quelli più direttamente interessati. Ma la Regione deve eseguire direttive ministeriali. Oggi l’approccio è cambiato, di fronte alla prevalenza dell’asintomatico. Il positivo al Covid trattato come un no Covid, la grande sfida è questa».
E a livello personale, invece? Cosa rimane?
«Conserverò per sempre questa esperienza e potrò raccontare di aver dato un contributo vero per affrontare un periodo così drammatico. La stanchezza è stata tanta, ma ha prevalso il desiderio di dare tutto me stesso, anche nel ruolo prima di capo della segreteria tecnica, poi di capo di gabinetto vicario dell’assessorato alla Salute. E posso dire che c’è stato sempre un controllo della situazione, pur con i disservizi o i disagi, ma non ci siamo mai sentiti disarmati».
E poi c’è stata la vicenda giudiziaria, che l’ha vista coinvolta.
«Un fulmine a ciel sereno. Ricordo che due giorni prima avevamo accolto il generale Figliuolo all’hub vaccinale di Messina. Dall’oggi al domani è arrivata questa inchiesta, che ha segnato tantissimo me e le persone che mi sono state vicino. Mi sono sentito vuoto, anche per le modalità con cui è avvenuta la notifica, visto che l’ho saputo prima dai giornali. Ho pensato che tutto fosse finito, anche perché la mia primissima scelta fu quella di dimettermi».
Ci fu anche un risalto mediatico importante, alcune intercettazioni trovano grande spazio, anche tra gli avversari politici. Riascoltandosi o rileggendosi, ha mai pensato: ho sbagliato?
«In realtà quelle intercettazioni ho potuto solo rileggerle, senza ascoltarle. E alcune di quelle parole erano solo riferite, sintetizzate a livello di brogliaccio. Oggi sono felice di poter dire che è un capitolo chiuso e non voglio più pensarci, ma il dato fondamentale è che in un anno di inchiesta, non ho mai avuto la possibilità di capire quale fosse l’addebito nei miei confronti. Su 240 pagine di provvedimento si parla di me in due righe di due pagine».
Al di là del Covid, si è ritrovato in mezzo ad uno scontro perenne tra l’ex sindaco De Luca e Musumeci.
«Il paradosso è che con l’amministrazione De Luca per un lungo periodo abbiamo collaborato proficuamente. Poi dinanzi alla esasperazione delle ordinanze questo rapporto si è arenato, le prove muscolari da un lato e dall’altro hanno determinato un attrito. E lo scontro paradossalmente arriva quando il governo Musumeci interviene in modo più netto, ad esempio con la nomina di Marzia Furnari come commissaria».
Era anche facile, però, cavalcare un disagio che esisteva.
«Certo, ma se è vero che la Regione e l’assessorato hanno dei ruoli di vigilanza, nei territori sono le aziende sanitarie i bracci operativi. Tra Natale 2020 e i primi giorni di gennaio 2021, con Messina zona rossa, ci fu una parentesi di pace sociale. Evidentemente poi questo approccio collaborativo non fu ritenuto più utile politicamente, i toni sono andati oltre e non a caso sono arrivato a querelare Cateno De Luca, per quanto detto nei miei confronti anche all’inizio dell’ultima campagna elettorale».
Messina è stata penalizzata da questa conflittualità politico-istituzionale?
«Ci sono stati due piani paralleli, quello dell’azione amministrativa, che andava avanti, e quello della politica che, invece, spesso raccontava una storia completamente diversa. Ci sono stati interventi importanti, che voglio ricordare: l’ospedale Margherita che verrà trasformato in Cittadella della cultura, il bando per trasformare l’ex Sanderson in polo fieristico e congressuale, la Real Cittadella con 20 milioni di euro destinati, il torrente Catarratti-Bisconte, l’idea dell’acquario nella Falce, la Badiazza riqualificata. Investimenti grossi che portano sviluppo economico ed occupazionale. Poi la Regione non ha un ruolo quotidiano, che spetta al Comune. E spesso si creano equivoci sulle competenze».
Eppure è un problema non solo messinese. Musumeci si è dimesso, ha rivendicato sempre i risultati, ma si è creata una grande distanza coi partiti. Perché?
«Alla base c’è una forte vocazione di buon amministratore nel presidente Musumeci, che credo sia la cosa più importante».
Quindi è in sintonia con De Luca, il sindaco di Sicilia c’era già…
«Musumeci emerge dalla stagione dei sindaci e degli amministratori puri degli anni Novanta. Sul rapporto coi partiti, però, posso dire che la percezione personale è diversa. Il caratteraccio del presidente mi sembra più un pretesto, ho assistito personalmente a tranquilli confronti con le forze politiche su tanti argomenti. Secondo me avrebbero dovuto essere i partiti a sostenere il governo, non il governo a doversi preoccupare dei partiti. E poi partiti… forse dovremmo parlare di un partito, anzi, mezzo partito se dobbiamo dirla tutta. Ma sostanzialmente diventa verità solo quella di chi urla più degli altri, con un racconto di parte».
Cosa non ha funzionato alle ultime Amministrative, quando candidato era un altro Croce, Maurizio?
«Probabilmente si è partiti in ritardo, si è perso molto tempo nell’intesa su un nome. Dall’altra parte c’era l’agilità di un uomo solo al comando. La complessità e la dialettica di una coalizione portano anche a questo. E non sono certo un disvalore».
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