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Suicidio in carcere di un uomo di 44 anni, la famiglia presenta denuncia

Sono 58 i suicidi in carcere dall'inizio dell'anno. Due in Sicilia nell'ultima settimana. E fa discutere il caso del catanese Simone Melardi, classe 1978, che si è tolto la vita lo scorso 25 agosto dietro le sbarre della Casa Circondariale di Caltagirone, impiccandosi. La famiglia di Simone, tramite l'avvocato Rita Lucia Faro, ha presentato un esposto alle autorità giudiziarie, al fine di accertare eventuali negligenze da parte del personale dell'istituto penitenziario. La Procura di Caltagirone, attraverso il pm, Samuela Maria Lo Martire, il prossimo mercoledì 7 settembre conferirà l'incarico, al medico legale, per eseguire l'autopsia sul corpo di Melardi. Al momento, cinque persone (quattro donne, un uomo) sono state iscritte nel registro degli indagati. Si tratterebbe, in questo caso, secondo la famiglia Melardi, di abbandono d'incapace, un reato disciplinato dall'articolo 591 del codice penale, previsto nel caso in cui un soggetto debole venga abbandonato da chi ha il compito di accudirlo. E in questo caso, Simone era sotto la tutela dello Stato.
Simone Melardi, 44 anni, era stato arrestato solo pochi giorni prima del 25 agosto scorso, perché imputato di furto aggravato, commesso lo scorso 21 agosto. E, nello specifico, del furto di 180 euro, di un cellulare e di un portafogli, sottratti al botteghino del Teatro “Bellini” di Catania, ma subito restituiti ai legittimi proprietari. Melardi era già da tempo in lista d'attesa per essere inserito in CTA (comunità terapeutica assistita), in quanto affetto da «psicosi NAS in soggetto con disturbo di personalità borderline e abuso di alcolici». E, proprio per questa ragione, nel carcere di Caltagirone, Melardi era sottoposto al regime della cosiddetta “grande sorveglianza”, proprio al fine di evitare e prevenire episodi di autolesionismo. «Nonostante il regime di particolare cautela nei confronti di Simone Melardi - afferma l'avvocato Faro - però, quest'ultimo ha avuto la possibilità di allestire i mezzi per suicidarsi, senza che nessuno se ne accorgesse».
Simone era sottoposto al regime di “sorveglianza a vista”, ma poi, dopo poche ore, è stato sottoposto a una vigilanza speciale, in quanto ritenuto apparentemente tranquillo. «Ma andava sorvegliato a vista. E soprattutto non andava messo da solo in cella», ribadisce il legale.

Ardita: "I detenuti più fragili sottomessi alle gerarchie"

Anche il magistrato catanese Sebastiano Ardita, già direttore generale dell'ufficio detenuti e responsabile dell'attuazione del regime 41bis, in passato Procuratore aggiunto a Messina, ha commentato con grande rammarico la tragica morte di Simone: «Un tossicodipendente di 44 anni - dice - si è impiccato nella sua cella del carcere di Caltagirone, dov'era recluso per il furto di 180 euro, di un telefonino e di un portafogli. Mentre si discute del ritorno in libertà dei mafiosi stragisti, questo è il destino della fascia bassa dei detenuti comuni, oramai alla mercé degli altri detenuti con la cosiddetta "autogestione degli spazi", nel sistema delle cosiddette "celle aperte". Tossicodipendenti e malati di mente sono una fetta importante del mondo carcerario. Meno Stato è presente in carcere, più saranno sottomessi alle gerarchie criminali, che rendono invivibile la loro detenzione. I deboli continueranno a morire e a suicidarsi. E i mafiosi otterranno, in nome di quei morti, la libertà anticipata».

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