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Odissea in mare: "Ho dato il mio cibo a dei bambini, non è bastato"

I 26 naufraghi, siriani e afghani, arrivati a Pozzallo lo scorso 12 settembre nella loro traversata hanno visto morire di fame e di sete sei compagni di viaggio, tra cui tre bambini. La loro testimonianza è stata raccolta da un un team di Medici senza frontiere che in questi giorni sta fornendo loro supporto psicologico. Partiti dalla Turchia il 28 agosto, questo gruppo di migranti è rimasto 15 giorni in mare per un guasto al motore dell’imbarcazione. Tra questi c'era anche anche un undicenne in viaggio senza genitori, che purtroppo non ce l’ha fatta.

«Quando siamo arrivati nell’hotspot di Pozzallo molti dei sopravvissuti erano ancora in stato confusionale, sotto shock, altri non riuscivano ancora a realizzare di non essere più in mare» racconta Mara Tunno, psicologa di Msf. A bordo, dopo aver visto morire diverse persone, racconta uno dei sopravvissuti, «abbiamo iniziato a pregare aspettando la morte. Uno di noi si è coperto il viso con quello che ha trovato. Si preparava a morire. Ci ha dato i pochi soldi che aveva in tasca, chiedendoci di donarli sulla terraferma a chi ne avesse avuto davvero bisogno. Gli abbiamo scoperto il volto e gli abbiamo detto: "Tu ce la farai, non moriremo".

«A bordo con noi - è il racconto di un altro naufrago - c'era un signore con due bambini molto piccoli, che erano sul punto di morire per la fame. Così ho offerto loro il mio cibo per farli rimanere in vita, ma nonostante il cibo, i bambini non ce l'hanno fatta. A un certo punto anche mia moglie si è sentita male ed ero convinto che sarebbe morta. Ho pensato al cibo che avevo dato a quei bambini, non aveva salvato loro e non avrebbe più potuto sfamare mia moglie. Non mi sono pentito del mio gesto, ma ho pensato che forse con quel cibo avrei potuto salvare mia moglie». A quanto emerge dalla cronaca di quel viaggio in mare le persone a bordo sono state trasportate dalle onde verso le coste della Libia, con in più il problema delle scorte di cibo e di acqua. «Per la disperazione abbiamo iniziato a bere acqua di mare - dice un ragazzo siriano sopravvissuto - provando a filtrarla con i vestiti. L’abbiamo mischiata con il dentifricio per addolcirla e abbiamo bevuto l’acqua del motore pur di cercare di sopravvivere. Ero consapevole che sarei potuto morire bevendo quell'acqua, ma non avevamo altra scelta». Lo sapeva bene, spiegano i rappresentanti di Msf «perché questo ragazzo è un meccanico e ha deciso di andare in Europa per poter dare un futuro migliore a sua moglie e ai suoi figli dopo che le politiche migratorie in Turchia, dove ha vissuto molti anni, sono diventate più severe».

A bordo c'era anche una ragazza siriana che viveva in Turchia da diversi anni, lavorava come interprete in ospedale, anche se ultimamente la vita era diventata particolarmente difficile per i siriani. Il padre aveva bisogno di un intervento medico ma in Turchia non riusciva nemmeno a vedere un medico e così hanno deciso di partire. Lui è morto durante il viaggio. I presenti a bordo raccontano che alla vista di qualsiasi imbarcazione si accendeva la speranza di essere soccorsi, ma solo una nave si è avvicinata per lanciare acqua e cibo, finiti purtroppo distanti dal barchino rendendo così vani i tentativi di recuperali. Poi la piccola imbarcazione è stata prima soccorsa da un mercantile e quindi dalla Guardia costiera italiana che ha portato i superstiti a Pozzallo. «Questa non è solo l’ennesima tragedia che si consuma alle porte dell’Europa - afferma Msf - ma è la conseguenza concreta di decisioni politiche europee che proteggono i confini piuttosto che gli esseri umani. Tutto questo è inaccettabile».

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