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Stragi di mafia, l'avvocato di Messina Denaro chiede l'assoluzione. Sentenza a luglio

«Chiedo l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso i fatti». Si è conclusa con questa richiesta l’arringa dell’avvocato Adriana Vella, difensore d’ufficio del boss Matteo Messina Denaro nell’ambito del processo che si celebra a Caltanissetta, davanti alla Corte d’assise d’appello, accusato di essere uno dei mandanti delle stragi del '92. La Corte ha rinviato per eventuali repliche e sentenza al 19 luglio, nell’aula Costa del Tribunale, nel giorno quindi della strage di via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e la sua scorta. In primo grado il boss è stato condannato all’ergastolo, la cui conferma è stata chiesta, conclusione della sua requisitoria, dal procuratore generale Antonino Patti.

La legale, dal canto suo, ha sostenuto «la mancanza anche solo di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista». Ha poi sottolineato che «dalle motivazioni assunte in primo grado non è dato sapere nemmeno in cosa sarebbe consistito il concorso morale di Matteo Messina Denaro negli attentati di Capaci e via D’Amelio. Non vi è prova che l’imputato abbia fornito uomini per il compimento delle due stragi, nè l’esplosivo utilizzato per il compimento delle stesse, nè ancora supporto logistico sempre a tali fini».

«Chiedo l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso i fatti». Si è conclusa con questa richiesta l’arringa dell’avvocato Adriana Vella, difensore d’ufficio del boss Matteo Messina Denaro nell’ambito del processo che si celebra a Caltanissetta, davanti alla Corte d’assise d’appello, accusato di essere uno dei mandanti delle stragi del '92. La Corte ha rinviato per eventuali repliche e sentenza al 19 luglio, nell’aula Costa del Tribunale, nel giorno quindi della strage di via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e la sua scorta. In primo grado il boss è stato condannato all’ergastolo, la cui conferma è stata chiesta, conclusione della sua requisitoria, dal procuratore generale Antonino Patti. La legale, dal canto suo, ha sostenuto «la mancanza anche solo di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti in merito alla partecipazione dell’imputato in seno alle riunioni in cui fu deliberato il piano stragista». Ha poi sottolineato che «dalle motivazioni assunte in primo grado non è dato sapere nemmeno in cosa sarebbe consistito il concorso morale di Matteo Messina Denaro negli attentati di Capaci e via D’Amelio. Non vi è prova che l’imputato abbia fornito uomini per il compimento delle due stragi, nè l’esplosivo utilizzato per il compimento delle stesse, nè ancora supporto logistico sempre a tali fini».

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