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Taormina Film Fest, quel magnifico trasformista di Favino

Sì, certo, Buscetta, il film “Il traditore”, i premi, tutto importante e di attualità. Però - succede perché prevale la spinta verso il nuovo, la curiosità del non visto - l'attenzione, strisciante e non esaudita, si è rivolta verso “Hammamet”, il film del calabrese Gianni Amelio attualmente in lavorazione, in cui Pierfrancesco Favino, l'attore che fino a ieri non ci sembrava potesse fare altro che interpretare Tommaso Buscetta, diventa Bettino Craxi. E non un Craxi qualunque, perché le prime foto che sono apparse vedono una trasformazione fisica dell'interprete che sembra incredibile. Poi, comunque, come è giusto che fosse, la masterclass con Favino, pezzo forte della prima giornata del 65. Taormina FilmFest, si è basata soprattutto sulla performance nel film “Il traditore”. Alla domanda del direttore artistico Gianvito Casadonte, ottimo conduttore dell'incontro, e ad altre sollecitazioni successive, Favino si è tirato indietro, mentre dalla sala i suoi accompagnatori gli facevano vistosi cenni di non parlare. «Un'esperienza che si preannuncia interessante - ha detto solo l'attore - ma è giusto che ne parli per primo Amelio, comunque io sono adatto alla trasformazione, ho questo tipo di rapporto con il mio mestiere, non è mai imitazione». Silenzio comprensibile, anche per rispetto nei confronti di Marco Bellocchio, regista de “Il traditore”, presente in sala al palazzo dei congressi.

La masterclass è stata comunque molto interessante e partecipata dai tantissimi giovani presenti. Favino si è rivelato, e lo ha confermato nelle successive interviste, un eccellente affabulatore, capace di raccontarsi e raccontare con ricchezza di concetti e partecipazione autentica. Anche se, ha detto, l'attore ha la possibilità di fare in modo professionale ciò che tutti facciamo ogni giorno, cioè «cambiare in relazione al momento e all'interlocutore che si ha davanti». Per esempio, Buscetta parlava in modo diverso a secondo di chi aveva davanti: «Un linguaggio e un atteggiamento per Falcone, un altro per Calò e Riina», ha spiegato parlando come Buscetta e guardando Bellocchio e Nicola Calì, l'attore messinese che ha interpretato il ruolo del boss di Corleone. E ha aggiunto: «A casa non parlerei mai così come sto facendo, sarebbe noioso, qui ha un senso specifico». Favino lo ha fatto comunque con sincerità a cominciare dal primo momento dell'incontro: «Per me questo palcoscenico è un'emozione speciale. Qui nel 1991 con i compagni di corso Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio e Alessio Boni presentammo il saggio finale dell'Accademia d'arte drammatica, che il nostro maestro Orazio Costa ricavò da “Amleto”».

Parole vere, perché poi Favino non ha esitato a raccontare le prime delusioni. Dopo il diploma nel 1992 non è accaduto nulla fino al 2005, «così ho fatto di tutto per mantenermi, dal cameriere al buttafuori». Adesso finalmente è arrivato all'apice? «No, spero che ancora questo non sia l'apice e non rimpiango la semplicità degli inizi. Mi mancano gli occhi spalancati su un mondo di lavoro ancora tutto da scoprire, ma oggi sono quello che voglio essere. Nel 1997 lavorai nel “Principe di Homburg”, proprio di Bellocchio. Mi tagliò e fece bene, ero stato un cane. “Il traditore” è la mia rivalsa. Rivendico la possibilità di sbagliare, di procedere per errori, ci vuol il tempo per trovare davvero il personaggio, si sbaglia e si riprova. Mi piace stare sul baratro dell'errore. Con Bellocchio è stato possibile, ma è un'eccezione: il cinema italiano per motivi economici spesso non può permettersi questo lusso».

Favino dirige una scuola gratuita di teatro a Firenze, l'Oltrarno, «perché il talento non è dei ricchi o delle grandi città, occorre cercarlo dovunque. Tra gli allievi c'è un ragazzo siciliano che lo ha e lo mette anche nelle cose più piccole che fa». Gli abbiamo chiesto come fa a sostenere l'assalto dei fan (anche ieri grande ressa), ormai tutti armati di telefonino per i selfie: è difficile non potersi muovere con tranquillità? «La mia vita è questa, nessuno mi ha costretto. Io, comunque, non sono un presenzialista che va ovunque. Non mi piace l'atteggiamento di distanza e se le persone vogliono fermarsi con me penso che ci sia una ragione e mi fa piacere. Fino a quando dura ringrazierò la gente. Non si deve mai guardare a un pubblico indistinto, ma ai singoli. Ho scoperto che dopo un paio di minuti tutti si rilassano e gli incontri possono diventare interessanti».

Quando se ne va, arriva un piccolo esercito di persone, in prevalenza giovani, “armati” di telefonino. Lui si ferma con tutti, sorride, è sempre gentile. Ammirevole.

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