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L'arte di cadere e risollevarsi nel nuovo romanzo del messinese Musolino

Centinaia di recensioni, di interviste, anni trascorsi a parlare dei libri degli altri, e poi il salto. Il passaggio dall'altra parte della barricata.

Con un romanzo di formazione - comunque un'etichetta insufficiente, visto che le direttrici, i registri e gli spunti della narrazione sono tantissimi - che arriva, per giunta, in un momento assai felice della narrativa meridionale, siciliana e in particolare messinese.

Così sull'esordio di Francesco Musolino, giornalista messinese ben noto a queste pagine di cui è prezioso collaboratore, c'è molto da dire, e da chiedere a lui, che oggi gioca nell'altra metà campo col suo romanzo “L'attimo prima” (Rizzoli).

L'io narrante è il giovane Lorenzo, messinese venticinquenne, ragazzo interrotto: la sua perfetta vita - infanzia felice, famiglia amorevole, sogni ben nutriti - è naufragata “l'attimo prima” di realizzarsi. Da allora Lorenzo s'è ritratto dall'esistenza, chiuso in una difesa a oltranza che lo preserva da tutto,
deprivandolo di tutto. Così, il suo amore per il cibo (è cresciuto «sotto il tavolo» del ristorante dei suoi, sognava di diventare uno chef rifinito) viene cancellato da una sorta di ascetica regola alimentare e sentimentale dell'insapore e inodore, le sue relazioni sono come sospese, impersonali.

Come l'ufficio anonimo in cui esercita il suo mestiere di ripiego, l'agente di viaggi. Che è un bell'ossimoro, per lui, siciliano che non lascia mai l'isola (peraltro un'isola descritta nei suoi paradossi, nel suo splendore coniugato con le miserie, nella sua natura imperiosa e contraddittoria, nelle sue cosmiche intemperanze). Ma la storia di Lorenzo, pure coi suoi punti dolenti e le sue ombre inquiete, resta un esercizio di risalita e fiducia nella vita, perché ciò che è rotto si può riparare, le cicatrici possono addirittura brillare, e «ciascuno cura il proprio cuore come può» dice la sorella Elena, portatrice - come le altre donne di questa vicenda, che è a trazione femminile: la madre Sara, la cuoca Sveva - d'una saggezza del cuore, d'una intelligenza delle emozioni che saprà cambiare il corso delle cose, rimettere in moto la vita ferma di Lorenzo.

C'è al centro di tutto un nucleo profondo e intimo di verità, di vita vissuta e ferita reale: la perdita del padre, punto d'interruzione e svolta, per Francesco e per Lorenzo.

Le pagine dedicate al padre Leandro sono tra le più toccanti, ed emerge con forza una concezione della narrativa come ricerca, come strumento d'esplorazione, costruzione d'alternative di sopravvivenza.

«Stavo cercando un libro che parlasse di un tipo di elaborazione della perdita, e però raccontasse il ritorno alla vita, e anche un'educazione affettiva, senza diventare moralista e affettato. Volevo raccontare, capire cosa succede quando la vita perfetta che hai sempre sognato scompare, un attimo prima di diventare vera. Mi sono preso tutto il tempo necessario per scriverlo e poi riscriverlo. E ho capito di avere finito quando quello che sentivo si è disciolto in qualcosa di più grande, e mi sono sentito libero».

Lorenzo, figlio di ristoratori, ha una passione per la cucina. Ma è uno chef che non ha mai cucinato: ha letto tutto, conosce tutto, ma solo in teoria. E la cucina si fa con le mani, coi fuochi... È uno dei paradossi di Lorenzo (e un paradosso dei nostri tempi: guardiamo la cucina in tv, ne leggiamo, seguiamo
le gesta degli chef, invece di farla...).

E di Francesco? «Lorenzo è cresciuto, protetto e amato, sotto un tavolo della cucina del ristorante dei suoi, al sicuro, tra i sapori conosciuti, le ricette di sua madre: la sua passione viene da quel mondo, è la sua grammatica emotiva del gusto. Tutti i suoi momenti felici sono legati a un sapore, a un piatto. Su tutti, lo spezzatino di patate, che è il loro piatto familiare delle grandi occasioni. A me piace da matti leggere di cibo, parlare di cibo, ragionare sul cibo. Sapere cosa c'è dietro un piatto, come si costruisce. È una delle cose di Lorenzo più mie: questa passione cerebrale, astratta per il cibo. Che in lui si combina
con un mondo di ricordi che gli fa male, da cui vuole proteggersi, allontanarsi. Così si rifugia in un mondo insapore, asettico, emotivamente insipido. D'altronde, si cucina solo per amore, come dice la mamma di Lorenzo. Io, in effetti, cucino per amore, per la persona che amo.

Chiedere: “Hai mangiato stasera?” per me è il gesto d'amore assoluto. Per Lorenzo la svolta sarà quando tornerà a questo suo amore, a questa sua grammatica profonda, e dovrà cucinare, finalmente. Prendersi cura di qualcuno, sporcarsi le mani e uscire dalla bolla».

La vicenda di Lorenzo è dentro una cornice narrativa precisa, una Sicilia tumultuosa, continuamente soggetta a sconvolgimenti cosmici: la siccità, la neve, il terremoto, l'eruzione dell'Etna, le colline che franano. L'immobilità di Lorenzo contrasta con questo temibile scenario in movimento. Temibile ma amato. È il momento del nuovo sguardo sulla Sicilia: tante felici narrazioni, tanti autori magnifici, penso a Nadia Terranova, a Stefania Auci, a Maria Attanasio, a Roberto Alajmo. Il tuo sguardo?

«Il tema della Sicilia è fondamentale. Sicilia che ovviamente è femmina, madre e matrigna. Le pagine su siccità, neve e terremoto chiudono in un certo senso la prima parte del libro. La chiudono con un bacio, certo, ma dando conto di quanto la Sicilia possa essere bellissima e crudele. Ho voluto portare
tutto al parossismo, perché volevo dare l'idea di questa situazione in cui si trova Lorenzo, nel suo pantano, mentre tutto attorno scorre. Il segreto è sentirsene parte: non succede a te, ti succede attorno».

Ma oltre alla Sicilia c'è l'Oriente. Attraverso la passione per la cultura giapponese della sorella Elena, e il rapporto con lo srilankese Sameera. Due saggi, a modo loro, portatori - e questo dello sguardo dell'Altro, del confronto con l'Altro come risorsa è un tema molto attuale - di linee di svolta, di indicazioni
potenti per Lorenzo.

«Il tratto femminile è così presente perché le donne sono portatrici di vita. Io voglio che questo sia un libro di risalita e ritorno alla luce. La figura della sorella, liberamente tratta da mia sorella e mio fratello assieme - io sono il piccolo della casa - , in questo senso è fondamentale. L'Oriente è una suggestione forte, un amore nato fin da quando studiavo Jung, all'università, il concetto, per me sommamente fascinoso, di ponte tra Oriente e Occidente. Elena insiste col kintsugi, l'arte giapponese del riparare gli oggetti rotti con una lega di metallo prezioso, argento o oro: l'oggetto riparato così diventa unico, splende. Le cicatrici non vanno nascoste, vanno mostrate. Il tema del kintsugi, e del libro, è questo: le cicatrici, il modo in cui ti sei riparato il cuore dopo un dolore, una perdita, sono quello che ti fa essere te stesso. Sameera è un cercatore di felicità. Lui ha cambiato Paese, lavora moltissimo, manda i soldi a casa. La sua comunità sfugge ai nostri occhi, l'Altro spesso ci è invisibile, ma incarna, solo a saperlo riconoscere, un altro punto di vista, che diventa prezioso. Ed è lui a dire a Lorenzo: cadi sette volte e rialzati otto».

Rialzarsi, che è parte dello splendere nelle proprie ferite. Un auspicio, un messaggio che non è possibile non ascoltare con tutto il cuore.

PRESENTAZIONI DEL ROMANZO:

- 17 settembre a Milano - Libreria Verso

- 20 settembre Pordenone - Pordenone Legge

- 24 settembre Roma - Feltrinelli Red

- 2 ottobre Torino - Circolo dei Lettori

- 4 ottobre Messina - La Gilda dei Lettori

- 6 ottobre Palermo - Modus vivendi

- 11 ottobre Caltanissetta - Ubik

- 12 ottobre Scordia - Mondadori Point

- 13 ottobre Siracusa - Gabò

- 17 ottobre Caltagirone - Libreria Dovilio

- 18 ottobre Catania - Vicolo Stretto

- 19 ottobre Ragusa - Ubik

 

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