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“Appunti di viaggio. Biografia in musica”, Lina Sastri in teatro a Messina

Lina Sastri

«Lina era brava già, io gliel’ho fatto solo sapere», così disse il grande Eduardo De Filippo parlando del talento di Lina Sastri che con lui, giovanissima, recitò in “Natale in casa Cupiello”. Da quel felice esordio l’attrice napoletana ha percorso una carriera folgorante, scelta da grandi cineasti per ruoli decisivi, ha brillato non solo nel cinema, ma anche in televisione, e, naturalmente, interpretando capolavori del teatro italiano. La Sastri, oltre che attrice, è autrice e regista, donna dotata di carisma, intelligenza, sensibilità, grazia. Ha attraversato tanti generi teatrali, dai classici al teatro moderno, fino a confluire in una serie di opere da lei concepite, come “Linapolina”, “Pensieri all’improvviso” e “La Casa di Ninetta”, il monologo tratto dall’omonimo romanzo breve, ispirato alla madre scomparsa, Anna/Ninetta.

Nel percorso del teatro musicale si pone “Appunti di viaggio. Biografia in musica”, che aprirà la stagione del Teatro Vittorio Emanuele a Messina il 16 e il 17 novembre, di cui è interprete unica, accompagnata solo dai suoi musicisti. La Sastri, racconta il suo vissuto artistico in versi recitati e cantati, pura poesia in musica, scandita dall’incontro con alcuni maestri con cui si è confrontata, quali, lo stesso Eduardo, Patroni Griffi, Tornatore, Pugliese, Lizzani, Allen. Un viaggio scritto e diretto da lei, in cui dà voce ai classici napoletani e brani di Pino Daniele o Domenico Modugno, legati alle sue interpretazioni cinematografiche e teatrali, con esordio in “Masianello”, con il brano “Madonna de lu Carmine” di De Simone e al cinema in “Mi manda Picone” con la canzone “Assaje” di Pino Daniele. Un viaggio anche nelle memorie musicali personali, legate all’amatissima madre, il cui canto registrato dall’attrice, apre i suoi spettacoli. L’abbiamo sentita alla vigilia della “prima” messinese.

Lei parla di “appunti”, qual è il suo rapporto con la scrittura? E quali sono le sue letture, in questo momento?

«La scrittura per me è una necessità. Scrivo quello che mi colpisce, con lampi improvvisi, prendendo appunti spesso su foglietti volanti. Scrivo con semplicità, per visioni e immagini e, con la stessa improvvisazione, recito a braccio in “Appunti di viaggio” che non ha un copione rigido, seguo una traccia puntellata dai brani musicali, con dei cardini di arrivo, il racconto è libero, jazz. Se vedrete lo spettacolo per due sere, ascolterete le stesse canzoni, ma le parole saranno diverse. Riguardo alle mie letture, vado per suggestioni basate sul momento e lo stato d’animo; amo Annamaria Ortese, che cito in “Pensieri in libertà”, scrittrice speciale, piena di malinconia folle, ma amo leggere anche il Vangelo, che mi aiuta ad andare oltre la realtà».

Il titolo continua con la parola “viaggio”, la sua vita è stata puzzle complesso o un cammino lineare? Vi legge la mano del destino?

«Il mio viaggio non è stato chiaro, l’ho fatto dentro una carrozza trascinata da cavalli in libertà, senza conoscere la meta; ero io il conducente che seguiva l’istinto e ciò che capitava, la fortuna, gli incontri con maestri, vissuti con naturalezza, comprendendone nel tempo la grandezza. Il filo del destino non era evidente, ma se guardo indietro vedo che tutto ha avuto un senso».

Continuiamo con “biografia in musica”, questo spettacolo è fatto di pensieri, parole e musica, quella della sua vita...

«La musica è un po’ quella della mia vita, con brani della mia terra, ma anche importanti per il mio percorso. Non ho inserito un pezzo perché bello o conosciuto, ma perché significa qualcosa, esprime il momento presente ed evoca il passato. È impossibile per un’artista non portare sul palco il proprio mondo. Io porto dentro i legami, i ricordi, mia madre c’è e ci sarà sempre con me!»

Cosa cambia emotivamente e tecnicamente quando si deve interpretare un testo proprio, soprattutto biografico, pieno di varchi nella memoria?

«Cambia moltissimo. Recitare cose mie è complicato; costruisco con oggettività lo spettacolo, ma esprimere ciò che ho vissuto realmente, è difficile. Interpretando il monologo de “La casa di Ninetta” credo di non avere fatto mai nulla di più duro; difficile tenere a memoria un testo così. “Appunti di viaggio” per fortuna non ha un testo vincolante, è un lavoro liberatorio».

Lei dice spesso che fare l’attrice le dà libertà, questo valore quanto conta e che prezzo ha? E la vulnerabilità?

«La libertà è tutto. Un valore irrinunciabile. Io solo sulla scena sono un po’ libera, io solo sul palco respiro. Lì non ci sono vincoli, maschere, in teatro non si è mai soli, nel mondo che sta intorno siamo sempre più stranieri. Si, la libertà si paga, ma vale sempre la pena. La vulnerabilità conta assai, questa e la forza che si deve avere, porta l’artista spesso ad una solitudine, ma io racconto tutto quello che sono».

Recitare è per lei rispondere ad un dono, ad un talento, ad un compito…

«L’artista risponde ad una chiamata, oltre la tecnica, la disciplina, recitando, si sta di fronte ad un mistero. Proprio a Taormina Eduardo parlava di gelo, della solitudine in scena del talento, che è ineludibile. In teatro ogni sera è come se si officiasse un rito, facendo uscire fuori la sacralità dell’arte, l’anima che si offre agli altri. Se si ha il coraggio di spingere, il pubblico percepisce e poi ringrazia per quel pensiero, per quella cosa che hai osato dargli e che lui in fondo cercava. Si viene magari in teatro per una canzone e poi si rimane per altro. L’arte è una cosa meravigliosa, magia, privilegio».

Cos’è per lei il Sud?

«Il Sud è la mia radice, ma io lo amo e lo odio, come Napoli, lo dico in una mia poesia, odio la “citta matrigna senza cuore”. Il mio Sud è contraddizione, eterna lotta fra gli opposti, mare che si muove, cose fatte al momento sbagliato; mi appartiene molto, ma come dimensione interiore, filosofica, non sono la donna napoletana che sa cucinare e mangia il ragù. Da Napoli quando ero giovane sono scappata, col tempo me ne sono riappropriata, ma non coltivo la napoletanità come una bandiera, sono gli altri che mi definiscono tale, io vivo la città più naturalmente».

Che rapporto ha con la Sicilia?

«Amo molto la Sicilia! Il rapporto con lei è forte, sanguigno e di alleanza, c’è nel mio Dna perché mio padre era di Siracusa, non a caso ho fatto autori siciliani, ho interpretato “La lupa”, “Baarìa” con l’accento bagarioto, “Sei personaggi in cerca d'autore”. Mi manca la tragedia greca di Siracusa che sarebbe meraviglioso fare, non mi è mai successo questo fatto, ma sappiamo che i fatti purtroppo appartengono agli uomini, mentre l’arte appartiene agli Dei! Confidiamo quindi negli Dei...».

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