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Addio a Nellina Laganà, raffinata e brillante signora del palcoscenico

Il suo ultimo tweet era solo di mercoledì: una delle sue uscite ironiche su un politico “sovranista”. Sempre garbata, sempre divertente, sempre fulminante: Nellina Laganà, attrice di talento, siciliana doc, fieramente meridionale, anzi “terrona”, è morta d’improvviso, a 72 anni, nella sua casa di Catania.

Gli amici sapevano che era malata da tempo: un “brutto male”, come si dice. E il suo modo di affrontarlo era unico, come tutto in lei: Nellina, intanto, viveva. Era troppo indaffarata a recitare, a ridere, a twittare, a scrivere, a fare battute indimenticabili, a viaggiare, strappare applausi sul palcoscenico, ritirare premi, ricevere l’abbraccio del pubblico, l’ammirazione incondizionata dei suoi ammiratori e follower.

E inventarsi cose: come quella strepitosa forma di “protesta-accoglienza degli arancini” che fece il giro d’Italia: nei giorni della vergogna della nave Diciotti, coi suoi 177 migranti a cui era impedito di sbarcare, la loro via crucis per mare, lei organizzò al porto di Catania, la “sua” Catania (anche se lei era siracusana), una manifestazione bellissima, “gli arancini dell’accoglienza”, 177 arancini per 177 anime. Sì, gli arancini, diceva, quello scrigno di bontà che per i siciliani sono un simbolo, e divennero un simbolo ancora più alto e più bello.

D’altronde, la bellezza deve servire a qualcosa, deve renderci migliori: questo pensava Nellina. Che anche di mestiere produceva bellezza. Gli ultimi applausi li aveva avuti sul palcoscenico de “I Giganti della Montagna” di Pirandello, con la regia di Gabriele Lavia: Nellina Laganà era una Sgricia sorprendente, molto lodata dalla critica. Solo un mese fa aveva ricevuto – ultimo di una lunghissima serie – il Premio Danzuso per il teatro. E il teatro non smetteva di essere la sua vita, malattia o no.

Aveva recitato coi più grandi, aveva interpretato i classici e i moderni, Aristofane e Pirandello, i tragici greci e Tomasi di Lampedusa o Giuseppe Fava, allo Stabile di Catania o tra le sacre pietre di Siracusa per l’Inda.

Era stata una straordinaria Anna Magnani, in uno spettacolo, messo in scena con Gianni Scuto (compagno nella vita e nell’arte, che così spesso in Nellina s’intrecciavano, anche se lei minimizzava, dissacrante e ironica com’era con tutto, anche, soprattutto, con la retorica del palcoscenico e dell’arte) che aveva scritto lei stessa nel 1983 e che aveva un titolo assoluto: “Attrice”.

Quello che lei era, fino in fondo. Uno spettacolo fortunatissimo, con centinaia di repliche in tutta Italia: un omaggio alla Magnani che metteva a fuoco, con rara potenza, la passione, la dolcezza, le pieghe dell’anima a cui Nellina sapeva dare corpo sul palco.

Al grande pubblico il suo volto era arrivato anche in televisione, col sicilianissimo Montalbano: era apparsa in uno dei due film dello scorso anno, “Un diario del ‘43”, nei panni, comici, della popolana Zina, e prima ancora ne “Le ali della Sfinge”, come Ciccina Picarella, una donna che aveva denunciato al commissario più amato dagli italiani la scomparsa del marito.

Ieri il suo nome è stato a lungo in giro per i social: centinaia di messaggi costernati, di dichiarazioni di stima e d’affetto, e citazioni dei suoi post sempre arguti e lievi ma profondi. La sua lezione d’umanità, di bellezza.

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