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Storie da Messina, il colle della Caperrina e quell’antico prodigio

Curiosando nell’Archivio Notarile di Messina, quand’era ancora nell’antica sua sede di via del Rovere, Giuseppe Arenaprimo si trovò fra le mani varie cronache, notizie, memorie, che “ordinate a guisa di diario”, apparvero all’inizio del Novecento in “Archivio Storico Messinese” (Anni I e II, 1900 e 1901) sotto il titolo, appunto, di Diario Messinese (1662-1712) del Notaro Giovanni Chiatto.

Del “baronello” Arenaprimo, studioso di rilievo della nostra storia, fortunatamente gli scritti sono stati raccolti dalla nipote Angela Arenaprimo Speciale, scomparsa in questi giorni, e dal compianto Giovanni Molonia, che ha curato le antologie. Morto Arenaprimo nel terremoto del 1908, il Diario, da lui trascritto e pubblicato per la prima volta, fu ristampato nel 1911 dalla locale Tipografia D’Amico, ad uso specialmente dei più attenti cultori di memorie patrie che non si stancavano di richiederlo. Nell’anno 1672 del Diario di Chiatto, ci imbattiamo in una serie di episodi che, a ben considerare, preludono all’infausta Rivolta antispagnola del 1674-78. Episodi, codesti, in genere non tenuti in gran conto- a noi pare- da chi ama indagare nel nostro passato, e meriterebbero invece qualche attenzione. Un partito con chiare tendenze avverse alla Spagna fioriva già nella prima metà del Seicento. Le “teorie di libertà” predicate, per esempio, da Giovanni Alfonso Borrelli, lettore di Matematica nel nostro Ateneo- notava Francesco Bruno in “Il Santuario di Montalto” (1927) - non dispiacevano di certo ai nobili e ai facoltosi che vagheggiavano- da tempo ormai- una riscossa.

Ed allora, dalla Spagna arrivò un nuovo stratigò, Alojsio Dell’Hojo, non proprio amico di Messina. Egli badò subito a tener diviso il popolo dai nobili, per meglio badare ad entrambi, e per impedire che in qualche modo, cosa piuttosto improbabile, essi si associassero. Nel 1672, la carestia mise la città in ginocchio, e il popolo, sottilmente istigato anzitutto dallo stratigò, giudicò responsabile la nobiltà e il Senato. “Si mise il pane con le polise”, leggiamo nel Diario, “dui a testa, doppo ad una e mezzo a testa… Comparse la matina di un sabato del febraro 1672 una sajcca (bastimento turchesco) greca piena di grano… Fu veramente grandissimo miracolo della B.V. Si fece il vassello d’argento nella maggiore Chiesa per memoria di tale miracolo…” .Siamo di fronte a una riproposizione della leggenda del Vascidduzzu…

Intanto il popolo s’ostinava a scagliarsi contro i sei senatori, accusandoli di malgoverno, e non avendo udienza finì con l’incendiare le loro case. Si elessero quindi sei nuovi giurati, e “ogni cosa si fece con quiete. La B.V. liberò la città d’insulti. Lei sia protettrice di non succedere più danno..” E poiché ” la Madonna lo volle”, la conciliazione avvenne. “A 18 aprile 1672, ritrovandosi la città afflitta per li casi successi, comparì una colomba nel monistero di S.M. dell’Alto, quale volao dal detto monastero sulla magg.e chiesa. Fu vista da tutto il popolo, fu agorata per bona cosa”. Il giorno dopo, il 19 aprile, il Senato e lo stratigò, stavano insieme nella casa professa dei Gesuiti. Nel dopo pranzo si unì a loro il viceré Claudio Lamoraldo di Ligni, capitano generale di Sicilia, e si raggiunse un accordo. La rivoluzione era per il momento scongiurata. L’indomani, 20 aprile, si volle ringraziare la Madonna. Tutti, popolo e Senato, nel monastero di Montalto, campane a distesa e spari d’artiglieria. Per la pace ottenuta si cantò il Te Deum laudamus. Festa grande, presagio di tempi sereni. Ma il fuoco covava sotto la cenere. Due anni e tre mesi dopo, la disastrosa rivolta contro la Spagna.

Una nota a margine di Arenaprimo. L’apparizione misteriosa di una colomba sul colle della Caperrina, lì dove la leggenda vuole sia apparsa diverse volte la Dama Bianca, non era affatto una novità. Durante la guerra del Vespro, sul colle dove Dina e Clarenza e le “donne di Messina” (celebrate poi da Vittorini in un suo noto romanzo) respingevano gli esercivi francesi, una colomba apparve e segnò, volando in cerchio, l’area in cui il monastero sarebbe stato edificato.

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