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Svetlana Aleksievič, una voce libera: "Questa è una rivoluzione delle donne"

«Io, vincitrice di un Nobel, posso essere arrestata da un momento all’altro. È un’idea barbara. Riuscite ad immaginarlo?». Attesissima, Svetlana Aleksievič, «grazie ai contatti con la diplomazia si è messa in salvo», riuscendo a sfuggire ai tentacoli del regime della censura nel proprio paese, la Bielorussia e oggi rappresenta una delle pochissime voci di resistenza ancora in libertà. Domani, alle 20, alla Fondazione Mazzullo, la giornalista e scrittrice Svetlana Aleksievič incontrerà il pubblico nell’evento clou del decennale del Taobuk ma già stasera la vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 2015, ritirerà al Teatro Antico il Taormina Award for Literary Excellence. E ieri ha incontrato subito i giornalisti, rispondendo a un fuoco di fila di domande.

La sua presenza è un segnale di speranza e difatti ieri è stato annunciato che domani pomeriggio i cittadini bielorussi che vivono in Sicilia terranno una manifestazione pacifica in Piazza Duomo, come ha annunciato il sindaco di Taormina, Mario Bolognari che ha concesso il proprio benestare.

Sì, è vero, dice la Aleksievič, «tutti i miei amici siano finiti in galera in Bielorussia e la libertà di stampa è minacciata» eppure lei non mostra alcun segno di resa, perché «questa è una rivoluzione delle donne».

Ecco le domande a cui ha risposto nell’incontro di ieri.

Lei è una delle pochissime voci libere del suo paese, la Bielorussia. Ha paura?

«Prigione, censura e interrogatori sono concetti che evocano il Medioevo, invece sta accadendo proprio oggi, in Bielorussia. Non solo gli oppositori politici e gli scrittori, anche gli sportivi e i giornalisti vengono prelevati per strada, con dei camion, e sbattuti in galera. Adesso anche la stampa internazionale è malvista, sia quella russa che quella europea, perché il potere non vuole che ci siano dei testimoni. Chi continua a scrivere e a raccontare oggi la Bielorussia, lo fa da uno stato in guerra. E chi, come me, si oppone a Aljaksandr Lukašėnka (il presidente in carica della Bielorussia, ndr) non vuole affatto un colpo di Stato come afferma la propaganda ma sta difendendo l’idea di libertà».

Si è temuto per la sua sorte. Com’è andata?

«Mi hanno fermata e sono stata sottoposta ad un interrogatorio. Volevano arrestarmi ma la diplomazia è intervenuta in mio sostegno e sono riuscita ad uscire dal Paese per dei controlli medici e oggi sono qui a Taormina. Non è la prima volta che lascio la Bielorussia sa? È già accaduto in passato, sempre per protestare contro Lukashenko, ma ho scelto di rientrare e non dargliela vinta».

Cosa ne pensa delle sanzioni economiche imposte al suo paese? L’Unione Europea sta facendo abbastanza?

«Questa sanzioni sono una risposta debole, insufficiente, del resto è difficile prevederne la loro ricaduta effettiva».

Lei cosa proporrebbe?

«Potrebbe servire isolare completamente il Paese e imporre forti sanzioni economiche. La Bielorussia è un paese piccolo, Lukašėnka ha rifiutato di dialogare con Angela Merkel e se Putin decidesse di intervenire temo che la situazione possa precipitare».

Accadrà?

«Purtroppo, non credo che la Russia accetterà mai di lasciarci andare e le loro ingerenze sono fortissime anche sulla libertà di stampa. Anzi, non è un mistero che la Russia vorrebbe annetterci, un giorno. Ma mi creda, i bielorussi hanno fame di libertà, soprattutto i giovani vorrebbero poter vivere senza paura la propria vita».

Cos’è per lei la libertà?

«Un concetto semplice. Vorrei poter uscire, passeggiare per strada e ascoltare semplicemente la voce delle persone, dei miei concittadini».

Lei ha raccontato la guerra in Afghanistan, la caduta dell’URSS e il disastro di Černobyl. Ma a cosa serve la letteratura? È uno strumento per leggere la realtà?

«Sicuramente. La letteratura non è un’arma, non è una lancia né uno scudo. La letteratura, per me, è uno strumento per conoscere il mondo. E oggi più che mai, in questo mondo preda dei populismi, abbiamo bisogno della letteratura per difendere la libertà, un valore assoluto per il quale dobbiamo essere disposti a tutto».

Quando tutto crolla, possiamo sempre rivolgerci ai libri? La letteratura supera i confini e sfida i regimi?

«Non saprei se la letteratura possa salvare il mondo. Ma una cosa è certa, senza la letteratura, tutto sarebbe peggiore».

Ma che ruolo giocano le donne in questa situazione di crisi internazionale?

«Un ruolo fondamentale. La nostra è una società patriarcale, il potere è nelle mani degli uomini. Cento uomini e una donna. E lo stesso Lukašėnka considera le donne come esseri deboli, per questo nessuno si sarebbe mai immaginato che, dopo aver arrestato gli uomini, le donne sarebbero scese in piazza, migliaia di donne unite in nome della libertà per combattere contro militari a viso coperto. Sì, questa è una rivoluzione delle donne e le donne ne usciranno vincitrici, ne sono certa».

Tornerà a casa?

«Sì, voglio tornare e confido di riuscirci. L’aver vinto il Nobel mi dona un po’ di sicurezza ma so bene che potrebbero anche arrestarmi da un momento all’altro, riuscite ad immaginarlo? È una sensazione terribile, credetemi».

Andrà avanti?

«Sì. È una lotta, è sempre una lotta».

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