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Il "Mistero siciliano" di Annalisa Stancanelli. Il mio mito? "Indiana Jones"

Intervista alla scrittrice, docente e giornalista siracusana. Archeologia e storia le passioni che ispirano il suo nuovo libro

"Mistero siciliano. Per la tomba di Archimede si può uccidere” (Mursia), della scrittrice, docente e giornalista siracusana Annalisa Stancanelli, è nato da due passioni: l’archeologia e la storia. Così, indagando tra i misteri siracusani, quelli ancora irrisolti della urbs che Cicerone chiamò pulcherrima, la più bella della Sicilia greca, scavando tra fonti e studi sulla storia segreta di Archimede e in particolare sulla sua tomba, la Stancanelli, già autrice di “Archimede e l’enigma della Sfinge” e “Archimede deve morire”, ma anche di “Forse non tutti sanno che Caravaggio. La vita di un genio fra arte, avventura e mistero” (Newton Compton 2020), sceglie il thriller per dar conto di altri misteri che raccontano la cronaca del nostro tempo.

Ecco quindi il vicequestore Regazzoni, l’archeologo Graziano, il cattivo Morfeo e tanti altri personaggi, tra i quali quelli femminili molto ben delineati, e che -dice la Stancanelli - «si presentavano mentre scrivevo e raccontavano le loro storie personali, le vicende della Siracusa di ieri e di oggi mentre le indagini, in alcuni punti, rievocavano delitti veri occorsi nella provincia aretusea.

L’idea del traffico di donne, infatti, proviene da un ritrovamento del corpo di una donna orientale su una spiaggia. Poi lessi del reperto denominato “Barbablù”, una testa di divinità greca ritrovata in Sicilia e venduta illegalmente in America e così i due crimini si sono saldati e nella mia idea è scaturito il personaggio di Morfeo».

Un mistero siciliano tra traffico di reperti archeologici e traffico di donne. Com’è nato questo libro?

«Poiché mi ero già messa alla prova con il genere thriller ho deciso di incorniciare l’enigma della tomba di Archimede con un’indagine poliziesca. Mi sono documentata per anni su tutto quanto era disponibile, ho riletto le fonti antiche e tutto quanto riguardava la storia della guerra dei romani contro Siracusa. Approfondendo il periodo 215 a.C.-212 a.C. mi sono imbattuta nella tragica vicenda del Basileus Geronimo e di sua sorella Armonia, insieme ad altri particolari di quegli anni mai raccontati. Amo profondamente la storia e dovevo trovare una chiave per far avvicinare più lettori possibile a queste strepitose vicende».

E in questo mistero Archimede è sempre presente. Quali sono le parti d’invenzione e quali quelle documentarie che riguardano il grande inventore?

«Volevo puntare l’attenzione sulla tomba di Archimede mai ritrovata. Perché non si cerca più? Le due parole lasciate da Cicerone, “portas Agragantinas”, possono riferirsi all’uscita della città nella direzione di Agrigento. Non tutti sono concordi anche su questo ma “le porte” potrebbero essere localizzate nella zona sud di Siracusa nei pressi di Piazza Adda, viale Paolo Orsi Già all’epoca di Cicerone i siracusani avevano dimenticato Archimede permettendo che la sua tomba fosse ricoperta da cespugli e vegetazione, cosa deplorata dallo stesso oratore. Leggendo i libri di Salvatore Ciancio, e percorrendo spesso le vie di cui parlo nel giallo, io ho ipotizzato un altro luogo e un altro ritrovamento, ma non posso dire di più. In ordine, invece, alla biografia di Archimede, alle sue invenzioni, non ho inventato nulla. Quanto riferisco nel giallo fino al 212 a.C. è presente in tutte le fonti che ho consultato. Gli studi ad Alessandria d'Egitto, le armi belliche, i congegni teatrali, i progetti nautici, i progetti difensivi, orologi, organi, planetari e macchine semoventi con la forza pneumatica. Mi sono presa libertà narrative sugli esiti del saccheggio e sulla famiglia del grande matematico mentre sugli specchi e sul pensiero politico ho seguito le idee di Lucio Russo e Lorenzo Braccesi. Una meravigliosa guida poi è stato Mario Geymonat che nel suo libro raccontava di Archimede che suggeriva versi a Virgilio e Catullo».

Chi è Morfeo? E il suo opposto, l’archeologo Graziano?

«Morfeo, che nasce dalla mia passione per Diabolik, è un “camaleonte umano” e per questo inafferrabile. Sin dall'inizio ho immaginato un cattivo insospettabile, un criminale raffinato, intelligente ma spietato. Con Fabrizio Carcano, direttore della Collana Giungla Gialla, lo abbiamo caratterizzato di più in fase di editing e così è nato il nome Morfeo, identificato così “perché chi lo guarda precipita in un incubo da cui non si sveglierà più”. Ma la storia offre anche un protagonista “buono”, trasparente, che si arrabbia per i maneggi politici e gli incroci degli affaristi senza scrupoli: è Marco Graziano, l'archeologo con una ex moglie che gli vuole sottrarre la figlia in un divorzio infernale. Cose che accadono davvero. Marco è l'archeologo che io avrei voluto essere. Da bambina sognavo di diventare “Indiana Jones”».

Da un lato c’è una Siracusa luminosa e bellissima, dall’altro il buio del male.

«Buio e luce come nella pittura del Caravaggio ci sono in ogni luogo e anche in ogni anima. Nella città meravigliosa in cui vivo c'è molto buio. Si verificano delitti, femminicidi, decine di arresti per traffici illeciti. Questa è la società; il thriller territoriale la deve raccontare. Ma la luce di Siracusa, città fortunata per aver avuto santa Lucia e anche il miracolo della Madonnina delle Lacrime, è però la stessa che studiava Archimede per i suoi progetti di ottica, la stessa che le colonne bianco crema del Tempio di Atena, oggi Cattedrale, riflettono da millenni».

Il vicequestore Regazzoni avrà un sequel?

«Gabriele Gab Regazzoni ha ancora in testa il terribile caso dell'omicidio della Contessa e deve anche ritrovare il prezioso gioiello che Morfeo ha rubato alla città di Siracusa. Penso proprio che si incontreranno di nuovo, sì».

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