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A colloquio con la scrittrice palermitana Giuseppina Torregrossa: "Vi cuntu il mondo al contrario"

Nel suo ultimo romanzo, con gli uomini in guerra le donne riorganizzano la vita della comunità. Ed è molto meglio...

«Nel corso del tempo la Sicilia è diventato una sorta di brand editoriale, ma ciò che conta è non smarrire mai l’autenticità della nostra terra, rivendicando l’importanza della lingua, superando ogni censura». Il tema del corpo e le saghe familiari per raccontare un mondo alla rovescia, metafora della nostra stessa isola oltre il tempo. Sono questi i temi portanti dell’universo narrativo della scrittrice palermitana Giuseppina Torregrossa, che tornano in “Al contrario” (Feltrinelli), un racconto che principia nel 1927, quando il dottor Giustino Salonia si insedia come medico condotto nel paesino dell’entroterra di Malavacata, lasciando a Palermo la moglie Gilda e la figlia neonata «ma già alla stazione del piccolo paese dell’entroterra – afferma l’autrice raggiunta al telefono – si renderà conto dell’enorme errore di valutazione compiuto, trovandosi innanzi case con i pavimenti in terra battuta e tetti fatiscenti. Ecco la distanza fra una cartolina e la realtà, un tema ancora presente nel nostro immaginario».
Il tempo corre fluido e in questo grande affresco costruito dall’autrice palermitana dal ’27 giungiamo sino all’ottobre del ’43 e nel frattempo il mondo cambia e persino gli equilibri nel microcosmo di Malavacata muteranno; difatti, con lo scoppio della guerra, nella seconda parte del libro, gli uomini partiranno e le donne – le tante fimmine protagoniste di queste pagine – si ritroveranno a gestire ogni cosa: eccolo, il mondo al contrario, in cui le invidie lasciano il posto alla sorellanza e il corpo finalmente, parla.
Torregrossa è un’autrice amatissima dal pubblico dentro e fuori dall’Isola, già a partire dall’esordio con “L’assaggiatrice” (2007); e poi ricordiamo il libro che la portò alla ribalta, “Il conto delle minne”, e “Panza e prisenza”, sino alla recente serie gialla – “Il basilico di palazzo Galletti” e “Il sanguinaccio dell'Immacolata”. Un successo frutto anche di un continuo lavoro sulla lingua, come testimonia l’assegnazione della laurea magistrale honoris causa in Italianistica (la cerimonia verrà trasmessa in streaming sui canali dell’ateneo), domani, dall’Università degli Studi di Palermo.

Partiamo dalla cerimonia all’Università. Lei terrà una lectio magistralis, Il mio "cunto" libero. Di cosa si tratta?
«Sono molto emozionata. Parlerò della censura avvenuta nei confronti del nostro dialetto».

Ovvero?
«I letterati e le famiglie borghesi, per molti anni, hanno bandito l’uso del dialetto, che non si poteva parlare o scrivere, censurando la voce, il nostro lato più autentico che rivela la nostra stessa natura. Anch’io, da narratrice, l’ho subita ma il recupero del dialetto mi ha permesso di saldare le mie due anim, medico e autrice, ricomponendo qualcosa che dentro di me era andato in pezzi. Raccontando il mondo delle donne, libro dopo libro, ripercorro la mia stessa storia di vita».

Come nasce “Al contrario”?
«Una storia verosimile ma di finzione, che ruota attorno all’esperienza di un medico condotto, narrando della Sicilia agricola dell’entroterra, a partire dagli anni Venti e in pieno fascismo, quando ancora si mascherava come il tentativo di riparare ai torti subiti. Giustino è un uomo pieno di contraddizioni, è un socialista tentato dal potere forte, un oculista raffinato che si ritrova nella Sicilia più misera, un uomo che ama la moglie eppure la tradisce di continuo… Giustino è cresciuto all’ombra materna, le sue fragilità sono quelle narrate da Vitaliano Brancati».

Epidemie e povertà, una storia di quasi cento anni fa eppure…
«Eppure non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Ho cominciato a scriverlo prima della pandemia ma cos’è cambiato da allora ad oggi? Nel ’27 le istituzioni erano disinteressate alla salute pubbliche, il tifo e la malaria mietevano vittime e le bestie vivevano in mezzo alla gente, trasmettendo infezioni anche a causa dell’ignoranza. Oggi come allora le istituzioni sembrano preferire una cura sintomatica anziché intervenire sul sistema di concause che genera le epidemie».

E quando il paese si svuota, giunge il tempo delle donne. Ovvero?
«Gli uomini devono partire e la società si ribalta. Al dominio degli uomini e all’egoismo come forma di potere subentrano le donne in prima persona, riscoprendo un modo diverso di stare insieme. Non c’è più la competizione per accaparrarsi l’uomo, scompaiono invidia e rivalità, favorendo una forma di solidarietà, un mutuo concorso per il bene comune, per salvarsi la vita».

Nella seconda parte del libro, con il trionfo delle donne, trionfa anche il corpo?
«Proprio così. Lo dimostra Gilda, la moglie del medico condotto che può vivere una femminilità non più repressa. Anche oggi accade, il nostro corpo è costretto dai dettami della società, dalle scelte di chi ci amministra, censurando i desideri, spingendoli in una zona di non-detto».

Sin dai suoi esordi, lei ha narrato la Sicilia con il dialetto e le saghe familiari. Oggi la Sicilia è un trend editoriale, le fa piacere?
«Non saprei. Ho sempre scritto di saghe e romanzi familiari perché mi piacciono davvero, e quando ho firmato dei gialli mi sono resa conto che in quelle pagine, in fondo, non c’era la mia vera natura. Scrivere di Sicilia per me significa andare alla ricerca della vera lingua siciliana per dar voce ai miei protagonisti. Invece, oggi si corre il rischio di usare il dialetto come una moda. Mi sembra che negli ultimi dieci anni la Sicilia sia diventata un brand editoriale, basta metterla sulla copertina per penetrare nel mercato editoriale, ma non possiamo ridurre la nostra terra ad una moda, all’ennesima farsa, senza negarne gli aspetti tragici, al di là delle mode».

Lei dice che Malavacata da lontano sembrava perfetta mentre da vicino è una tragedia. Una metafora ancora valida?
«Decisamente. La Sicilia vista da lontano sembra meravigliosa e poi ecco le strade dissestate, l’immondizia e le ferrovie che non funzionano. Al contempo, la Sicilia sarà sempre bellissima nonostante l’uomo. La Sicilia è il trionfo della natura al di là del tempo».

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