Martedì 30 Aprile 2024

Il teatro? Deve creare stupore e meraviglia. Parla Antonello Fassari, in scena a Siracusa

Un sorprendente Tiresia. Antonello Fassari in una scena delle "Baccanti" (Foto Michele Pantano)

«Il teatro ti fa riflettere grazie ai testi ma deve anche creare stupore e meraviglia. Penso che le Baccanti quest’anno racchiudano tutto questo con armonia». Antonello Fassari, 68 anni, è alla sua terza volta al teatro greco di Siracusa. Sta riscuotendo consensi per la sua convincente prova di Tiresia in “Baccanti” di Euripide per la regia di Carlus Padrissa, tragedia che si alterna con “Coefore Eumenidi” di Eschilo per la regia di Davide Livermore per la 56esima stagione della Fondazione Istituto nazionale del dramma antico. Fassari è alla sua prima esperienza in una tragedia al teatro greco di Siracusa: finora è stato Xantia nel 2002 ne “Le Rane” di Ronconi e Vivacleone nel 2014 ne “Le Vespe” di Mauro Avogadro. Quest’anno doppio ruolo: oltre a Tiresia, sarà Socrate nella commedia “Le Nuvole” di Aristofane diretta da Antonio Calenda che debutterà il 3 agosto. Una dura prova, anche fisica? «È una stagione importante per l’Inda. C’è un legame tra il dopoguerra quando iniziarono le rappresentazioni e oggi dopo la pandemia. Con questo caldo cocente stare in scena è impegnativo, ma del resto non è neanche il periodo tradizionale. Bisognava però riprendere ed è uno sforzo che viene premiato dai 3 mila spettatori in teatro. Quando vado in scena al Sistina il pienone è di 1500». Carlus Padrissa ha messo in scena tutta la sua magia? «Posso dire che è uno spettacolo di cui si parlerà. Queste Baccanti che volano stanno affascinando. Del resto quando sono nate le rappresentazioni classiche sappiamo che veniva utilizzata la migliore tecnologia. E oggi utilizziamo i mezzi che abbiamo a disposizione. Io sono nato con Ronconi: per lui creare meraviglia era un principio fondamentale. E qui a Siracusa sicuramente si viene rapiti dalla scena. Ma non bisogna farsi ingannare: in queste Baccanti tra testo e soluzioni tecniche per la messinscena c’è molta più armonia di quella che si può immaginare. Certo all’inizio non sapevamo bene che spettacolo venisse fuori. Adesso è una messinscena in cui si segue sia la parte recitata che quella visionaria. Abbiamo un Dioniso strepitoso che è Lucia Lavia: rovescia l’ordine costituito, mette in discussione il potere e la cecità del potere quando non si apre al nuovo e al futuro. È un dio e la sua vendetta sarà terribile nei confronti di Penteo che non vuole aprirsi al nuovo mondo profetizzato da Tiresia». Tiresia e Socrate, due ruoli diversi, tra il tragico e il comico. «Beh, posso dire quel tragico e comico che ho sempre frequentato nella mia carriera. Sono quello che andava da Ronconi ai Vanzina da Romanzo criminale ai Cesaroni. Non ho mai badato all’immagine o alle etichette. Penso che un attore debba fare tutto. Mi dicono che questo Tiresia piace e sono contento. Cieco e indovino, Tiresia è fautore di una rivoluzione. Lui è a favore di Dioniso. Quindi è un invito a concepire anche l’altra parte dell’essere che non è solo fatto di razionalità. Con la commedia vediamo cosa si inventerà Calenda». Lei è uno dei volti più noti di questa stagione di rappresentazioni classiche. In questi anni non si è risparmiato, alternando cinema, tv e a teatro anche con programmi cult come Avanzi o serie tv amate dalla famiglie come i Cesaroni.  «Per me è un discorso di gruppi di lavoro. Io ho avuto la fortuna di incrociare Ronconi o il gruppo di Avanzi in tv. Con Romanzo criminale Michele Placido realizzò un progetto per parlare di criminalità: oggi è diventata quasi una moda. Questo è un mestiere che si fa insieme. Dai gruppi di lavoro vengono delle cose belle, quando si sta dentro una progettualità. Ci credo molto: nel 1984 sono stato il primo in Italia a fare rap con Romadinotte assieme a Danilo Rea, oggi uno dei più grandi jazzisti italiani, e Lele Marchitelli, compositore (autore delle musiche di La grande bellezza di Sorrentino ndr). Avevamo creato un gruppo di ricerca su musica e testi. D’altronde il teatro nasce come compagnia, quindi stare insieme. Lo dico perché negli ultimi anni c’è una tendenza individualistica che può produrre grandi solisti, ma non vedo il progetto». Un po’ come accade oggi che tutti vogliono fare gli attori e gli influencer. Al teatro i giovani vi seguono e vi applaudono.  «Voglio dirle questo. Quando con le scuole ci portavano a teatro era per noi una ricreazione. Adesso gli studenti vengono ma sono stati preparati dai professori, conoscono l’argomento e sono interessati. È un approccio diverso rispetto a noi che che avevamo un atteggiamento superficiale e goliardico. A Siracusa ho sempre avuto un pubblico fantastico e attento. Per i ragazzi che iniziano a fare il nostro mestiere a mio avviso ci sono troppe scuole e significa che ci sono troppi cattivi maestri. Non tutti sono adatti all’insegnamento. Ai miei tempi c’era una selezione naturale: ti prendevano per matto se volevi fare l’attore, dovevi avere motivazioni fortissime. Adesso sembra la cosa più facile del mondo: tutti i genitori sarebbero felici di vedere i figli attori. Questo è un lavoro che se fatto male ti può fare male. È un mestiere che ti da delle illusioni e delle delusioni cocenti. A Siracusa gli studenti dell’Accademia ad esempio sono preparatissimi. C’è un apprendimento culturale ma anche fisico del mestiere».

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