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Da Girgenti a Regalpetra: "Pirandello e Sciascia, figli della stessa terra"

La combinazione misteriosa e feconda d'attrazione & avversione, il gioco di sguardi su realtà e illusione

Girgenti, Regalpetra, Sicilia. Agrigento e Racalmuto, messe in scena nel teatro della memoria, un teatro-mondo della metamorfosi, da cui leggere la storia universale degli umani, rappresentato ad Agrigento nel convegno “Pirandello e Sciascia, figli della stessa terra”, attraverso lo sguardo incrociato di Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia. Un laboratorio aperto a future riletture, nelle due giornate di studio ideate dall’architetto Michele Benfari, soprintendente ai Beni Culturali di Agrigento, con la direzione scientifica di Salvatore Ferlita, critico letterario e docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università Kore di Enna.

A incontrarsi, nella sede della Soprintendenza, la bellissima Villa Genuardi (a distrarre lo sguardo dal suo belvedere il tempio di Giunone, giù nella Valle, è un’apparizione metafisica), a parlarsi e a parlarci, ad Agrigento, museo diffuso in cui lo spazio diventa tempo, studiosi e artisti: Salvatore Ferlita con la lezione “Girgenti e Regalpetra, Spoon River mediterranee”, Roberto Alajmo con “Le ceneri di Pirandello”, Massimo Onofri e Alfonso Maurizio Iacono in conversazione con Ferlita su “Una misteriosa combinazione, Pirandello, Sciascia e le radici telluriche della scrittura”.

Assieme a loro, Stefano Milioto che ha presentato la bella mostra fotografica di Angelo Pitrone, “Pirandello e Sciascia, figli della stessa terra”, ospitata nello spazio espositivo di Villa Genuardi fino al 31 ottobre, anch’essa una storia di sguardi, di doppi, il “Padre” Pirandello (foto d’archivio della Soprintendenza) accanto al “Figlio” Sciascia (fermato dallo scatto fotografico di Pitrone) in bianco e nero, e, vicini, a colori (nella scelta di Pitrone) i loro luoghi in movimento, perché l’avventura fotografica, che attraeva moltissimo l’uno e l’altro, nutre un mistero, quello di essere il luogo dell’illusione e delle “realtà create”.

Capita di essere guardati dall’altro come se ci venisse fabbricato addosso un altro corpo, un altro noi, come se la nostra esistenza fosse confermata da quello sguardo – nel quale peraltro non ci riconosciamo – e senza esso non avesse sostanza: lo hanno rappresentato, accompagnati dal violoncello di Mauro Cottone e dal contrabbasso di Sandro Sciarratta, facendo muovere le parole vive di Pirandello e Sciascia, Alfonso Veneroso, attore, regista e autore teatrale, con “Pirandello, Sciascia e le loro origini come metafore”, incentrato su tre temi, zolfo, Sicilia e verità (o menzogne convenzionali) da “Alfabeto pirandelliano” di Sciascia alle novelle “Il fumo” e Il berretto a sonagli” di Pirandello, e Gianfranco Jannuzzo, attore teatrale e commediografo, con “La provincia dei destini incrociati”, una lettura a specchio di brani pirandelliano-sciasciani sui temi dell’infanzia, della follia, della luna, della morte.

E intanto, loro, i due «zolfatari che scendono nelle oscure gallerie» della psiche, i due “eretici” di fronte alla vita, erano lì, i loro occhi a guardarci dal display dei due totem multimediali, epifania di fisionomie che esprimono la volontà di vedere oltre.

«Se è vero che senza Pirandello forse non ci sarebbe stato Sciascia, è pure vero che Sciascia ha illuminato aspetti di Pirandello sconosciuti o poco conosciuti – così Ferlita –, la loro è una combinazione misteriosa di attrazione e repulsione sulla quale si vuol puntare un grandangolo per scongiurare luoghi comuni e recuperare aspetti ancora in ombra e che attendono di essere portati alla luce».

Un «rovello», quello di Sciascia col “Padre” Pirandello (così si rivolse a lui nel 1986, nel discorso per il cinquantenario della morte del premio Nobel), iniziato sicuramente con le prime letture nella biblioteca degli zii, poi davanti al “Fu Mattia Pascal” cinematografico, e continuato, attraverso la mediazione dei Quaderni gramsciani, fino a sentirsi intrappolato in una sorta di «pirandellismo di natura», con la rilettura estetica di Pirandello e intuizioni di altissimo valore critico, fra le quali l’assimilazione, nel saggio “Pirandello e il pirandellismo”, tra Girgenti e la Spoon River di Edgar Lee Masters, luoghi di «piccoli poveri uomini feroci», di «conflitti tra vita e forma», tra «personaggi e creature» (sicché, pure Regalpetra/Racalmuto, come Girgenti, è una Spoon River mediterranea).

C’erano le cicale, alunne delle Muse, come quelle della Agrigento di Pindaro, a fare da corifee al racconto dagli stilemi pirandelliani, tra grottesco e surreale, dello scrittore Roberto Alajmo sulle “Ceneri di Pirandello”, pubblicato nel 2008 e illustrato da Mimmo Paladino, sul «viaggio picaresco» delle ceneri che Pirandello voleva fossero disperse senza riti funebri e invece dapprima furono tumulate al cimitero del Verano a Roma, per vivere poi una storia che nello sviluppo e nella conclusione assunse aspetti tragicomici e paradossali.

E tra paradossi e aporemi esistenziali si è svolta la conversazione di Ferlita con il filosofo agrigentino Alfonso Maurizio Iacono, studioso della epistemologia della complessità e ordinario di Storia della Filosofia all’Università di Pisa, e con Massimo Onofri, critico letterario (sua è la rivelatrice “Storia di Sciascia”) e ordinario di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Sassari: dalla riflessione di Pirandello e Sciascia che in Sicilia più che altrove agisce una forma esasperata di individualismo con la conseguente frantumazione o mancanza dell’essere comune, al tema pervasivo e complesso del rapporto realtà-illusione, dal fascismo e dall’antidemocraticismo di Pirandello alla “costruzione” pirandelliana Vita-Forma di Adriano Tilgher, dalla presenza di metafore e figure filosofiche nel pensiero di Pirandello e Sciascia alla provocazione rilanciata da Ferlita nell’accostare il meccanismo da isolati e connessi attraverso i social di oggi, alla solitudine e all’incomunicabilità relazionale, all’incapacità di indagare se stessi secondo la lezione eraclitea e quindi allo smarrimento, alla mancanza dell’essere comune: dramma del nostro tempo lacerato e punto centrale del pensiero di Pirandello e Sciascia.

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