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Sicilia, quel patrimonio Unesco spesso dimenticato: mancano piani di gestione

Un Dossier necessario. “Unesco alla Siciliana”, presentato ieri a Nicolosi, è il frutto di un’approfondita disamina condotta da Legambiente delle criticità che irresponsabilmente depotenziano un patrimonio a cui viene riconosciuto “eccezionale valore universale”. In questo titolo c’è tutta la contraddizione tra il significato sovranazionale del riconoscimento che chiama l’intera comunità mondiale alla salvaguardia di questo patrimonio e il venir meno di questa stessa consapevolezza da parte, invece, della comunità che gli è più prossima territorialmente. Insomma, prima che gli altri, dovremmo essere noi per primi a tutelarlo e valorizzarlo.

A cosa serve vantare il primato di essere la regione con il maggior numero di siti UNESCO, dodici, tra i 7 del patrimonio materiale, 3 di quello immateriale, e 2 Geoparks, se al Parco archeologico di Agrigento i visitatori sono costretti a mettere a rischio la propria incolumità per raggiungere l’ingresso di Porta V, percorrendo a piedi un tratto di strada trafficata e senza marciapiede, o e se il patrimonio da universale diventa riservato nel tal giorno e per il tale evento esclusivo? Se città contemporanea e sito della WHL restano due monadi incomunicanti, come alla Valle dei Templi e alla Villa Romana del Casale, a detrimento di qualsivoglia politica di sviluppo del territorio? Se l’edilizia con valore monumentale dei centri storici delle città del Val di Noto non viene manutentata? Se “patrimonio” dell’Etna è anche la “munnizza” esibita nelle micro-discariche che fanno bella mostra di sé a chi attraversa in auto una qualunque strada o percorre a piedi un sentiero o una trazzera?

Anche se ad oggi non esistono dati oggettivi sulle ricadute effettive del turismo, il suo incremento grazie alla targa UNESCO sembra essere l’ambizione principale da raggiungere da parte delle amministrazioni. Ma quale turismo si chiede Legambiente? Quello insostenibile del mordi e fuggi, dell’area turistica del Rifugio Sapienza, ancora sull’Etna, soggetto giornalmente all’invasione di migliaia di autoveicoli che ricolmano i parcheggi?

Manca un piano di gestione delle attività, e non solo di quelle turistiche. Programmazione, questa sconosciuta. Al di là, infatti, delle singole criticità, ci sono poi delle carenze per così dire strutturali, che riguardano le capacità gestionali e, di conseguenza, di intercettazione dei finanziamenti. Due passaggi chiave con cui chi scrive ha voluto portare il proprio contributo all’incontro di ieri.

Un ruolo decisivo ha, infatti, l’Ente gestore, che deve attuare il Piano di Gestione, strumento che contiene le dichiarazione dei principi e le azioni volte alla tutela e valorizzazione del sito. Viene individuato tra gli enti territoriali in cui ricade il sito: Comuni, Regione, per il tramite della Soprintendenza, soggetto responsabile della tutela, o del Parco Archeologico, a cui si attesta invece la valorizzazione, ma anche gli Enti ecclesiastici, gli Enti Parco. Sembra incredibile, ma manca ancora, a distanza di oltre tre lustri dal riconoscimento, per Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica (2005). Anche per le Eolie (2000) niente ente gestore. Per entrambi potrebbe essere il Parco archeologico, come già avviene per Agrigento e la Villa del Casale. Ma i dubbi restano per le difficoltà in termini di personale e dotazioni carenti con cui queste istituzioni regionali devono già affrontare i propri di compiti. In piena era Covid ci si è, invece, riusciti a mettere d’accordo per il Val di Noto, dove l’anno scorso è stato delegato il Distretto turistico sud-est. Ente gestore dell’Etna è il Parco dell’Etna, mentre una struttura gestionale “bicefala” ha invece, il sito seriale “Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale” (2015). Con un Protocollo d’intesa è stato individuato un sistema centrale di gestione: oltre, al Piano di Gestione, c’è un Comitato di Pilotaggio, in cui sono rappresentati i proprietari e i soggetti istituzionali a vario titolo coinvolti nella gestione. Ha il compito di indicare le attività e verificare l’applicazione del Piano. E poi c’è una Struttura Operativa, la Fondazione Patrimonio Unesco, che ha il compito di rendere operative le decisioni del Comitato di Pilotaggio e attuare gli indirizzi del Piano, di stilare il Piano triennale delle attività e il Piano di monitoraggio del sito.

Capitolo fondi. Ogni anno il Ministero della Cultura (MiC) assegna finanziamenti ai progetti per i beni iscritti al Patrimonio in base a una apposita legge del 2006. Nel 2021 tra i primi 3 progetti finanziati per € 112.500,00 nessuno siciliano. Per un ulteriore blocco di 5 progetti, tra gli interventi ammessi a finanziamento per € 478.900,00 due appartengono al patrimonio immateriale siciliano: l’Opera dei Pupi ha ottenuto € 99.000,00 per un progetto di “pianificazione strategica, trasmissione, valorizzazione”; mentre € 99,900,00 sono andati al sito “Pratica agricola della Vite ad alberello di Pantelleria” per la creazione di un “Laboratorio Permanente del Paesaggio di Pantelleria e documento preliminare del Piano di Gestione”.

Premiati solo due. E gli altri? Non sono arrivati in tempo? Non hanno presentato progetti? Nemmeno il sito seriale Palermo arabo-normanna con tutta quella struttura gestionale? Ecco che in cima resta il problema della gestione. Un utile strumento di supporto potrebbe essere il manuale “Managing Cultural World Heritage”, di cui recentemente l’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale ha curato la traduzione in italiano, in collaborazione con UNESCO, ICOMOS, ICCROM e IUCN.

Oltre a quelli del MiC, altri fondi sono quelli messi a disposizione dal Ministero della Transizione Ecologica e da quello del Turismo. Il primo ha stanziato 75 milioni di euro per il triennio 2021-2023 per l’adattamento ai cambiamenti climatici nei siti Unesco d’interesse naturalistico e nei parchi nazionali. Destinatari i Comuni, sentiti gli enti gestori dei siti: un problema per le Eolie senza ente. Altri 75 milioni sono i fondi del bando ancora in corso lanciato dal Turismo per il finanziamento di progetti volti alla valorizzazione di circa 260 Comuni. Obiettivo è sostenere la ripresa del settore particolarmente colpito dalla crisi generata dalla pandemia.

Infine, c’è la Regione Siciliana. Nell’Assessorato dei beni culturali c’è un apposito Servizio Parchi archeologici e Siti Unesco. La Regione, malgrado detenga il primato del maggior numero di siti, non stanzia fondi con cadenza regolare. In via straordinaria, al fine di compensare gli effetti negativi derivanti dalle perdite degli incassi per l’accesso per il Covid, nella Finanziaria 2020 ha previsto il trasferimento di 1.000.000,00 di euro del bilancio regionale. Il criterio è discutibile: ripartirli sulla base del numero di ingressi nell’anno 2019 significa al solito premiare i “big” e lasciare le briciole a siti magari più virtuosi sul fronte della tutela o della progettazione.

Quello che è poco ma sicuro è che i calcoli in tasca bisogna farseli, e bene, perché un patrimonio sofferente come quello descritto da Legambiente, ha bisogno di fondi, oltre che di chi li sappia intercettare e spendere. Nel 2019 questi calcoli li ha fatti Milena Gabanelli sul “Corriere della Sera”: “negli ultimi 10 anni, il Ministero ha finanziato il nostro patrimonio con 25.434.706,24 euro, mentre quelli che abbiamo versato nello stesso periodo obbligatoriamente nelle casse dell’organizzazione (UNESCO, ndc.) ammontano a 120 milioni di dollari”.

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