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Come attore e regista, Pif è “Testimone del nostro tempo”

Al palemitano il Premio Hemingway 2022

Tra i vincitori del 38esimo Premio Hemingway, che si concluderà oggi al Cinemacity di Lignano Sabbiadoro, un grande artista palermitano, in prima linea, anche fuori dal set, nella lotta alla mafia e nella sensibilizzazione verso importanti temi etici e generazionali. Pif (Pierfrancesco Diliberto) è stato insignito del prestigioso riconoscimento per la sezione “Testimone del nostro tempo”, per aver saputo raccontare la realtà italiana, unendo, nell’arte e nella vita, impegno civile, ironia e anticonformismo.

Conduttore, regista, scrittore e attore, Pif è reduce dal racconto contemporaneo “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma, dopo i primi due film a carattere storico “La mafia uccide solo d’estate” e “In guerra per amore”. «Il mio sogno era fin da piccolo ed è tutt’ora il cinema – ha detto durante un incontro con la stampa sulla sua carriera - tutto il resto è arrivato dopo. Per chi fa il mio mestiere la cosa più importante è avere qualcosa da dire; ma poi sono gli spettatori a decretare il mezzo migliore col quale ti esprimi, se cinema, radio o tv. È una situazione molto più meritocratica di quanto si pensi».

Quello di Pif è infatti un cinema con la cifra stilistica tipica della denuncia, che utilizza l’ironia e il paradosso come strategie di comunicazione efficaci: «Tendenzialmente qualunque cosa io faccia non riesco a non puntare il dito – ci ha detto - Cerco di usare la commedia per sdrammatizzare, anche se per natura sono un moralista, severo con me stesso e con l’esterno. Non riuscirei a fare un film in cui non c’è denuncia, né serio senza l’ironia e viceversa. Non so se ciò derivi dall’essere cresciuto in una città dove cui ci sono state poche denunce, ma sono certo che se ci fosse più gente disposta a denunciare si potrebbe vivere meglio». «Non riesco ad accettare il fatto che a Palermo ci sia la mafia – ha aggiunto - Nella mia città non ne abbiamo negato l’esistenza, ma la pericolosità. Quando feci vedere “La mafia uccide solo d’estate” a dei giornalisti tedeschi mi dissero che l’atteggiamento ritratto era lo stesso che avevano adottato loro verso il Nazismo: non affrontare il male e sopravvivere dicendo che non è pericoloso».

Diversa, ma di scottante attualità la tematica del suo ultimo film “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, in cui si parla di condizione del lavoro, disoccupazione e conseguenze negative della tecnologia applicata al lavoro. La vicenda è quella di un manager (Fabio De Luigi) licenziato perché ritenuto obsoleto dallo stesso algoritmo aziendale da lui creato. «Abbiamo scritto il film prima della pandemia – ha specificato l’artista - immaginando un futuro che pensavamo possibile tra 40 anni, e invece è già in atto. Al centro dovrebbe esserci l’uomo e intorno tutta la tecnologia che migliora la sua vita; invece è diventata centrale la tecnologia stessa, che ci vizia e ci rende assuefatti. Non è un crimine ordinare una pizza col cellulare o portarla per lavoro, ma chi ha creato il business della consegna a domicilio ha creato un tipo di condizione lavorativa piuttosto discutibile».

Quindi un pensiero su Hemingway, accompagnato da un’ironica identificazione con lui: «Quando giro “Il Testimone” in Groenlandia e in altri posti estremi penso un po’ come Hemingway. Mi piaceva il suo essere persona irrequieta che si spostava continuamente da un posto all’altro, negli anni in cui andare in Spagna e tornare in Italia era un’impresa. Quando invecchierò racconterò a mia figlia di questi viaggi».

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