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Nino D’Angelo in Sicilia e in Calabria: "Nei miei brani c’è il dolore, ma anche la rinascita"

Il cantautore napoletano in tour in questi giorni in Sicilia e Calabria. «A ogni concerto festeggiamo una nuova vita, una voglia di stare insieme che ci è mancata in questi due anni di lockdown»

Alfiere della canzone napoletana di ieri e di oggi, Nino D’Angelo approderà in Sicilia e Calabria per una serie di concerti all’insegna del sentimento e dell’impegno civile. Dopo il debutto nella sua città del 21 luglio scorso, l’artista riprenderà il tour estivo de “Il Poeta che non sa parlare”, suo ultimo album, il 6 agosto a Castellamare del Golfo (Piazza Stenditoio), per proseguire l’8 al Teatro al Castello di Roccella Jonica e l’11 al Teatro dei Ruderi di Cirella a Diamante. Tra leggerezza e impegno sociale, l’artista proporrà i nuovi brani, tra cui “Voglio parlà sulo d’ammore” e “Cattivo penziero”, ma anche i successi storici, come “’Nu jeans e ‘na maglietta”, che quest’anno compie 40 anni, “Jesce sole”, “Pop corn e patatine” e “Senza giacca e cravatta”.

«Tornare a cantare in questi mesi è stata una bellissima emozione – ci ha detto D’Angelo –. Il pubblico mi ha riservato lo stesso amore di sempre e i concerti hanno registrato un’affluenza di pubblico superiore rispetto al solito. Tutte le sere noi cantanti festeggiamo una nuova vita, una rinascita, una voglia di stare insieme che ci è mancata in questi due anni di lockdown. Speriamo che questo periodo così drammatico ci abbia dato insegnamenti di vita importanti».

“Il Poeta che non sa parlare” rappresenta la tua anima sentimentale ma anche impegnata contro i pregiudizi e i mali sociali. Un progetto non a caso nato durante il lockdown. Cosa ti ha ispirato?
«Dentro al disco c’è un dolore che era il mio stato d’animo di quel periodo. All’inizio non volevo neanche fare l’album, ma quando l’artista Jorit mi ha dedicato il murales nel mio quartiere, San Pietro a Patierno, mi sono sentito in dovere di ringraziare la mia gente, che nonostante i problemi quotidiani ha fatto sì che io tornassi lì, anche solo sulla facciata di un muro. Questo mi ha dato un’emozione così forte da spingermi a non deludere i fans. Col momento che stavamo vivendo non potevo proporre brani leggeri o ironici, ma ho cercato di alleggerire queste tematiche con la dolcezza e una mia poesia istintiva. È stato il disco più complesso che ho fatto, perché trovare nuovi argomenti in un momento dove gli unici argomenti erano la morte e la vita con la paura del virus è stato difficile».

Il tour è anche un’occasione per celebrare i 40 anni di “’Nu jeans e ‘na maglietta”, brano cult del tuo repertorio che all’epoca ebbe un successo incredibile. Secondo te cosa quali sono state le ragioni di quel successo?
«Penso abbia colpito la mia semplicità. Avere successo provenendo dal popolo è un successo anche per il popolo stesso. Il ragazzo proveniente dal nulla che tu senti cantare tutte le mattine diventa un cantante del mondo. Io rappresento la vittoria di chi non ce la farà mai e con me ha vinto. Quella canzone non era solo musica, ma un esempio di riscatto sociale, che è la cosa più bella del mio successo. “’Nu jeans e ’na maglietta” era arrivata in un momento dove fino ad allora la canzone napoletana era la canzone della malavita. Con il mio pezzo ho rotto quella tendenza facendo ritornare l’amore nel repertorio della mia città. Non volevo essere un erede della sceneggiata, ma della canzone partenopea d’amore; perché noi napoletani siamo figli di Salvatore Di Giacomo. E’ la canzone che amo di più perché mi ha cambiato la vita, rendendomi un uomo potente pur venendo dal popolo, consentendomi di poter fare una vacanza e comprarmi un pianoforte per continuare a scrivere canzoni».

C’è qualche artista oggi che si può considerare erede del tuo stile nella nuova canzone napoletana?
«Se si leggono i testi dei rapper di oggi molti sono pieni di riferimenti alle mie canzoni. Sono giovani artisti figli delle mie canzoni, perché le loro madri ascoltavano i miei brani a quei tempi. Questo non solo mi ha fatto diventare un punto di riferimento per questi ragazzi, ma rappresenta in generale la vera novità della canzone napoletana, che è cambiata come tutta la musica italiana».

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