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Il “pruno” dell’assessore Armao nel riformismo della politica

Gaetano Armao

Osservava il linguista e filosofo Noam Chomsky che “la lingua non è oggi peggiore rispetto a ieri. E’ più pratica, come il mondo che viviamo”. Ci inoltriamo in questa tesi per avanzare una riflessione sul linguaggio della politica, senza cedere all’amarcord, magari rievocando tribune politiche o solenni interventi in parlamento. Oggi la “praticità” è un campo semantico nel quale si ricorrono un tweet, una foto o un breve video su facebook, nel solco della comunicazione volatile che procede a strappi.

Così per fare breccia in una memoria collettiva bombardata bisogna alzare il volume, affilare la battuta per  renderla penetrante nella sua semplice banalità, pur esprimendo manifesti politici che richiederebbero tomi di pensieri e spiegazioni. L’esasperazione di questo approccio linguistico si rivela nella convinzione, spesso fondata, che forzare i toni  non sia sufficiente soprattutto per catturare l’attenzione del “branco social”. E allora bisogna alterare le parole, dopandole con massicce dosi di brutalità, violenza e volgarità. Uno schema collaudato che, però, appare  in via di assuefazione, nel senso che anche la comunicazione politica ringhiosa e tossica rischia di non scaldare più i cuori sempre affamati del popolo invisibile. Ma se questa è la frontiera, oltre la quale c’è il duello rusticano, la rissa, occorre una soluzione meno traumatica che possa evitare la deriva, spurgando il linguaggio politico pur mantenendo l’intensità del messaggio.

A sua insaputa l’assessore regionale della Regione siciliana, Gaetano Armao, ha ipotizzato con un guizzo la possibile alternativa, in un messaggio vocale di risposta stizzita al sindaco di Messina: «De Luca, lo sai come diciamo noi a Palermo va sucati un pruno» (vai a succhiarti una prugna). Come dire in milanese “va a da via i ciapp”, vai a quel paese. Non è proprio un modello di stile istituzionale, ma può rappresentare una mediazione temporanea, in attesa che il linguaggio della politica ritrovi il filo d’Arianna per uscire dalle macerie del “Vaffa” e dei suoi derivati.

Quelle espressioni dialettali  di tradizione popolare sono immagini che potrebbero stemperare una dialettica ammorbata dalla stantia cafonaggine, dagli insulti bavosi. E’ una conversione riformista del linguaggio, nel segno della praticità indicata da Chomsky. E magari riesce anche a strappare un sorriso da Bagaglino.

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