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Bruti Liberati: "Il populismo giudiziario può essere devastante"

Edmondo Bruti Liberati

Si terrà oggi alle 16  nell’aula magna del Rettorato dell’Università di Messina il seminario di studi per la presentazione del nuovo libro dell’ex procuratore di Milano, Edmondo Bruti Liberati, dal titolo “Magistratura e società nell’Italia repubblicana”, per Editori Laterza. Oltre all’autore interverranno tra gli altri il presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri, il procuratore di Messina Maurizio De Lucia, e i docenti dell’ateneo Giovanni Moschella e Antonio Saitta. L’organizzazione scientifica dell’incontro è a cura dei professori Giacomo D’Amico e Alberto Randazzo. Abbiamo posto alcune domande a Bruti Liberati in vista del seminario di oggi.

 

Settanta anni di rapporto tra magistratura e società. Come vengono delineati in questo volume?

"Ho scelto il titolo 'magistratura e società' piuttosto che 'magistratura e politica' perché mi sono proposto di mettere a confronto le vicende della magistratura con la  complessiva evoluzione della società. Ho cercato di farlo utilizzando un linguaggio piano, accessibile, almeno nelle mie intenzioni, anche ai non giuristi. Per diversi anni dopo la caduta del fascismo la magistratura è stata in ritardo, in altri momenti ha saputo entrare in sintonia con il rinnovamento che si stava producendo in Italia come nel grande momento di riforme della prima metà degli anni settanta".

La storia della magistratura in questo settantennio ha visto varie “rivoluzioni” con dei passaggi importanti, da quello post-regime all’entrata in funzione sia della Corte costituzionale che del Consiglio superiore della magistratura Quali altri momenti “rivoluzionari” o che Lei ritiene tali ha vissuto la magistratura?

"A lungo la Corte di Cassazione e tutti gli alti gradi della magistratura sono stati dominati da uomini formati nel clima del fascismo; vissero quasi come “intrusi” i nuovi istituti, Corte Costituzionale e Consiglio superiore della magistratura, che caratterizzano il nuovo assetto della magistratura nella democrazia. Questa magistratura fornì un contributo rilevante a quel fenomeno che, più in generale, fu chiamato di “congelamento della Costituzione”. La svolta decisiva avviene intorno alla metà degli anni sessanta quando in magistratura sono ormai attivi giovani che si sono formati nella democrazia. Arrivano alla magistratura i fermenti di novità, i mutamenti sociali indotti dal “miracolo economico, il rinnovamento della politica dopo il primo “centro-sinistra”, l’”aggiornamento” del pontificato giovanneo e del Concilio Vaticano II. Il congresso dell’Anm di Gardone del 1965 caratterizza, per la magistratura, questo passaggio cruciale con la convinta “appropriazione” della tavola di valori della Costituzione repubblicana. L’Anm si apre al confronto con la comunità dei giuristi: alcune delle relazioni fondamentali  del congresso sono affidate a professori e avvocati. E non è solo una coincidenza che a quel congresso per la prima  volta partecipino donne magistrato; da poco era stata chiusa una pagina di scandalosa discriminazione".

Nel suo libro viene dato largo spazio alle vicende riguardanti l’Anm, e alle varie battaglie anche culturali in seno all’associazionismo giudiziario. Anche questa una storia complessa, ma sicuramente esaltante.

"Nel 1909 a Milano viene fondata l’Agmi (Associazione Generale fra i Magistrati Italiani); a seguito del rifiuto dei dirigenti di trasformare l'associazione in sindacato fascista, l'assemblea generale tenuta il 21 dicembre 1925 delibera lo scioglimento dell'Agmi. Il regime reagisce duramente destituendo dalla magistratura i più noti dirigenti. La Associazione Nazionale Magistrati si ricostituisce, con questa nuova denominazione, nel 1945. Il contributo dell’Anm all’elaborazione della Costituzione per la parte sull'ordinamento giudiziario è stato spesso acriticamente valutato in blocco come positivo, laddove invece presenta una ambivalenza: l'affermazione del principio di indipendenza rispetto all'esecutivo è unita alla difesa dell'organizzazione gerarchica con la Corte di cassazione al vertice. Per fortuna le "aspirazioni dei magistrati italiani" di questi anni non sono accolte dai costituenti che resistono alla gran parte delle sollecitazioni: infatti all'esito di un difficile confronto, il titolo IV della Costituzione dedicato alla magistratura risulta fortemente innovativo. L’art. 101 co.2  “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”, ponendo in primo piano la posizione del singolo giudice, segna una rottura rispetto alla tradizionale organizzazione gerarchica. Due poli convivono da sempre nell’Anm: rivendicazione di indipendenza che pone l'associazione in consonanza con i settori più avvertiti della cultura giuridico-istituzionale, ma insieme pesanti tributi ad una ideologia corporativa che tendono a tagliar fuori la magistratura dal vivo del dibattito nella società.  La tensione dialettica tra questi due poli caratterizza tutta la storia dell’Anm, che dunque presenta luci e ombre. Tra i momenti alti vi è certamente il già citato Congresso di Gardone. Ma aggiungo il “circolo virtuoso”  degli anni settanta tra innovazioni della giurisprudenza, a partire dai pretori, e le riforme adottate dal Parlamento, la  risposta della magistratura all’attacco del terrorismo e della mafia".

Se i difficili anni Settanta hanno costituito un banco di prova per la magistratura e le sue correnti interne, così come gli anni Ottanta e le vicende di corruzione, e quindi gli anni Novanta con il berlusconismo, quali sono le sfide vissute in questo ventennio del nuovo millennio?

"L’indagine “Mani pulite” ha visto la magistratura oggetto di un grande consenso, non privo di rischi. A un quarto di secolo di distanza non sono utili celebrazioni, ma analisi. Vi furono, certo, taluni eccessi (in particolare nell’uso della custodia cautelare in carcere), errori, protagonismi, vi furono dolorose e tragiche vicende personali. Ma la storia di Mani pulite non è una storia di eccessi e di errori; è, al contrario, la storia del doveroso intervento repressivo penale di fronte ad un vero e proprio sistema di corruzione, ad una devastazione della legalità. Questa la eredità positiva di Mani Pulite. La esperienza maturata nelle indagini di allora ci consegna oggi una magistratura consapevole della propria indipendenza, impegnata a riaffermare il primato della legalità senza reticenze e con adeguata professionalità".

Lei non manca di sottolineare certe forme di protagonismo di alcuni magistrati in alcuni anni e di spettacolarizzazione di alcuni processi. Pensa che anche oggi questo fenomeno possa inficiare lo svolgersi democratico della giustizia?

"La vicenda di Mani pulite ci insegna anche che una cosa è l’apprezzamento della opinione pubblica per la azione dei magistrati e altro è il tifo da stadio o il sostegno acritico, che alla giustizia fa ancora più male, se possibile, degli attacchi denigratori e delegittimanti. Il “protagonismo” improprio di taluni magistrati è la parte negativa della eredità di Mani pulite.  Dal “protagonismo (necessitato) della magistratura” sulla corruzione si è passati al “protagonismo (improprio) di taluni magistrati “, in particolare Pm. A fronte di una società civile disgregata e di una politica in crisi di credibilità, soffia di nuovo in alcuni settori della magistratura un vento di chiusura corporativa con il proporsi quale unica istituzione sana del paese. Se il populismo della politica è un problema, il populismo giudiziario può essere devastante. La forte denuncia che segnò un intervento del 2012 del filoso del diritto Luigi Ferrajoli è più che mai attuale: “L’esibizionismo, la supponenza e il settarismo di taluni magistrati, in particolare Pm” e il “loro protagonismo nel dibattito pubblico diretto a procurare consenso alle loro inchieste e soprattutto alle loro persone".

Potere e magistratura. In che rapporto stanno?

"Le indagini che investono ipotesi di reati commessi da esponenti politici sono doverose e creano ineluttabilmente tensioni. La politica rispetti l’indipendenza della magistratura e si astenga dagli attacchi personali o dalle pretestuose polemiche tipo “giustizia a orologeria”. La magistratura si astenga da ogni protagonismo personale, svolga le indagini nel rigoroso rispetto delle garanzie processuali, nella massima celerità possibile perché la saldezza del sistema democratico impone che le deviazioni siano accertare con prontezza. La società civile non chieda alla magistratura ciò che non può e non deve dare: il risanamento dei costumi e la riforma della società. Il processo penale deve accertare fatti di reato specifici e responsabilità individuali. Nulla di meno, ma neppure nulla di più; non si deve chiedere al sistema penale di indagare e risolvere problemi politici e sociali".

La questione della giustizia oggi tocca aspetti urgenti del mondo odierno per i quali tutti sono chiamati a sentirsi responsabili. Ma perché oggi la società sembra essere staccata dal suo rapporto di fiducia con la magistratura?

"Sul sistema di giustizia nel suo complesso, nel civile come nel penale, si riversano sempre i problemi dei singoli e le tensioni della società. La inefficienza del sistema giudiziario crea sfiducia nella magistratura. Ma la lentezza dei processi, i carichi di lavoro crescenti in diversi settori, lo squilibrio nella distribuzione delle risorse e la drammatica carenza di personale amministrativo sono frustranti per gli stessi magistrati che hanno la consapevolezza di non rendere un servizio all’altezza delle giuste richieste della società e, soprattutto, delle persone in carne ed ossa che aspettano la decisione del “loro caso”. La controriforma della organizzazione giudiziaria proposta dal Ministro Castelli del governo Berlusconi è stata fortemente contrastata dalla magistratura e per fortuna non è passata. La riforma del 2006, la cosiddetta “riforma Mastella”, ha rimediato a  errori disastrosi e ha posto le premesse per un rinnovamento; si tratta di promuovere la professionalità di tutti i magistrati, di curarne l’aggiornamento. Ma spetta alla politica fornire i mezzi e le strutture organizzative, senza i quali non vi è buona volontà o impegno personale dei magistrati che possano portare ad un risultato di efficienza accettabile. Ai magistrati infine spetta tenere viva la tensione per una rigorosa deontologia, come indicato dal presidente Mattarella in un discorso del 6 febbraio 2017: ”Equilibrio, ragionevolezza, misura, riserbo sono virtù che, al pari della preparazione professionale, devono guidare il magistrato in ogni sua decisione. Lo spirito critico verso le proprie posizioni e "l'arte del dubbio" - l'utilità del dubbio - sorreggono sempre una decisione giusta, frutto di un consapevole bilanciamento fra i diversi valori tutelati dalla Costituzione. La magistratura, nella nostra recente storia, ha dimostrato di avere tutti gli strumenti per garantire il riconoscimento dei diritti, senza condizionamenti. È un bene che sia sempre più orgogliosa della sua funzione insostituibile, ma anche consapevole della grande responsabilità che grava sulla sua azione”. Il Presidente si rivolgeva ai magistrati in tirocinio ma il monito si deve considerare rivolto a tutti i magistrati che esercitano questa grande responsabilità".

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