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Riccardo Cavallaro, chef messinese a Manchester: sacrifici e passione per la cucina

Da ragazzino la lingua inglese era il suo tallone d'Achille. E l'estate del quarto liceo l'ha trascorsa sui libri per superare quel debito che pesava come un macigno. Convinto poi che quel caldo ferragostano passato tra le sudate carte gli avrebbe permesso di affrontare qualsiasi sfida in maniera semplice.

Il ventottenne Riccardo Cavallaro ha fatto carriera all'interno di Wagamama, catena internazionale conosciuta in tutto il mondo, ma trovare la strada della realizzazione personale non è stato semplice. L'unica certezza era che bisognava fare i bagagli. «Dopo la maturità scientifica - ha raccontato Riccardo - conseguita al liceo Seguenza mi sono iscritto all'Università. Prima ho intrapreso un percorso scientifico, scegliendo Chimica, poi ho cambiato rotta, incoraggiato dal fatto che in quel periodo lavoricchiavo nello studio di un commercialista, scegliendo un ramo di Giurisprudenza convinto di poter diventare un consulente del lavoro».

Il giovane, però, con un passato da rugbista, sempre affascinato dalle capitali europee, un giorno decise : «Volevo la mia indipendenza, così nel gennaio del 2015 ho scelto di partire per Manchester, seguendo le orme di un mio amico». I nuovi cieli nascondevano tante sorprese, bellezze mai viste prima e immancabili insidie: «Il primo periodo è stato come un tuffo in acqua ghiacciata. Uscire dalla “comfort zone” ti fa crescere davvero. Del primo tempo della mia nuova vita ricordo cose che mi sorprendevano come un bambino: come camminare in mezzo alla neve e il primo lavoro, un po' pesante, trovato però quasi subito».

La prima esperienza in un ristorante italiano, come “kitchen porter”, lavapiatti per dirla con un termine italiano. Un lavoro alienante e demotivante che almeno gli permetteva di mantenersi. Poi, un evento ha dato una forte scossa al suo destino: «Tre mesi dopo che sono partito la mia adorata nonna è morta all'improvviso. Quando ho ricevuto la notizia non sapevo che fare. Ero disperato perché non avevo avuto il tempo di darle un ultimo saluto, sapevo che piangere da solo o in compagnia non avrebbe fatto alcuna differenza. Tuttavia, in quei momenti, ho trovato una forza fuori dal comune. Mi sono ricordato che nonna Lilla era una cuoca sopraffina, e che in fondo cucinare bene era nel nostro dna, così mi sono intestardito e messo in testa che avrei voluto fare il salto di qualità, diventando chef ».

Il dolore della perdita era lancinante, ma a lavoro nessuno sembrava preoccuparsene. Così Riccardo, armato di coraggio e consapevole che lì carriera non ne avrebbe potuta farne, si licenziò: «Immediatamente ho trovato un altro lavoro in un ristorante inglese, dove ho iniziato ad approcciarmi alla cucina, ma poi ho visto un annuncio che sembrava davvero un segno mandato dal cielo da mia nonna. Una catena cercava uno chef da formare e assumere subito dopo per l' inaugurazione di un nuovo locale, il più grande che avevano aperto fino a quel momento. Mi presentai al colloquio e fui preso. Da lì è iniziata la scalata».

Sembrava un sogno ad occhi aperti: «In questi anni ho avuto la possibilità di crescere professionalmente facendo vari passaggi di livello. Da chef sono diventato dopo soli 4 mesi black belt, supervisore, ed ero uno degli addetti al training dei nuovi chef. Nel 2017 sono diventato junior sous chef, in concomitanza all' apertura di un altro ristorante della compagnia a St Peter's Square. Così sono arrivato a far parte del team manageriale. Ho fatto un cammino straordinario e il lutto mi ha dato una forza che non pensavo di avere. Viaggio tantissimo e mi permetto di fare cose che prima non mi sarei sognato di fare».

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