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Arancini o arancine? Ecco la ricetta autentica

Per provare a risolvere il dubbio lessicale è dovuta intervenire addirittura l’Accademia della Crusca. Ma tutti concordano sugli ingredienti che non possono proprio mancare in questo "tesoro" della rosticceria siciliana.

Ma come si dice: “arancini” o “arancine”? Chi vive in Sicilia prima o poi si imbatte in uno dei “misteri” più dibattuti sull’isola. Sì, perché quello che potrebbe essere confuso con il supplì della cucina romana, cambia nome (e ricetta) a seconda che ci si trovi a Palermo o a Messina, a Catania o ad Agrigento. E, neanche a dirlo, quasi tutte le città ne rivendicano la paternità. Ma la succulenta specialità rappresenta ormai l’intera regione ed è stata inserita con il nome di "arancini di riso" nell’Elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (istituito dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali).

Per provare a risolvere il dubbio lessicale è dovuta intervenire addirittura l’Accademia della Crusca che, in una  scheda online, chiude la partita fra i due termini con un “pareggio”: si può dire in entrambi i modi. In poche parole, chi lo chiama “arancino”, italianizza la forma dialettale (dove “aranciu” è la traduzione di arancia), mentre chi preferisce il nome “arancina” non fa altro che riproporre il modello dell’italiano convenzionale. Una distinzione che divide in due la Sicilia: arancina (sferica) nella parte occidentale e arancino (sferico o a forma di cono appuntito che qualcuno associa romanticamente al profilo dell’Etna) nella parte orientale.

Va detto, per completezza, che la forma maschile è l’unica indicata nei vocabolari, così come nel documento più antico in cui appare il termine “arancinu”: il Dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biundi (1857) fa riferimiento però a "una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia". Un dolce, quindi, che sarebbe diventato il piatto da “street food” che conosciamo solo dopo lo sbarco del pomodoro nell’isola intorno al 1852.

 

Ecco le ricette tradizionali:

Qual è la ricetta originale dell’arancino 

Ma le differenze tra questi prodotti della rosticceria della Trinacria sono anche nelle ricette, che presentano alcune piccole e “segrete” peculiarità. Ormai se ne contano almeno una trentina con ingredienti diversi, comprese le varianti vegetariane. Ma qual è la ricetta originale o più antica? Che si tratti di una “palla” come si usa a Palermo e in alcune zone delle province di Ragusa e Siracusa, o di un “cono” come si prepara a Catania e a Messina, ciò che accomuna gli arancini è la base di riso impanato, fritto e farcito, con un diametro medio di circa 8–10 centimetri.

Ci sono alcuni ingredienti che non possono proprio mancare come il burro, il riso (c’è chi suggerisce la varietà Originario, ma vanno bene anche Vialone Nano, Ribe, Carnaroli o Padano) e una semplicissima pastella ottenuta con farina 00, sale e acqua. Come fare gli arancini? Non ci si può sbagliare anche sulla preparazione del ragù, cucinato con cipolla, macinato di carne di maiale e di bovino, olio extra vergine di oliva, passata di pomodoro, piselli, caciocavallo, carote, sedano e vino bianco o rosso.

Le variazioni: dalla Norma al Pistacchio di Bronte 

Naturalmente, negli anni non potevano mancare adattamenti culinari in ogni angolo della Sicilia, e non solo, a cominciare dall’arancino al burro (con mozzarella, prosciutto e, talvolta, besciamella) e quello agli spinaci (anche in questo caso con la mozzarella). In provincia di Catania, in particolare, sono molto apprezzate le varianti alla Norma (con le melanzane fritte, ribattezzato appunto “alla catanese”) o con il Pistacchio di Bronte.

Nella città dello Stretto, ad esempio, resta leggendario l’arancino (e la pasta al forno! ) della storica rosticceria di Pippo Nunnari (purtroppo chiusa nel 1992). Dopo aver cotto a lungo il sugo con della carne di maiale (cotenna compresa), insaporiva il ragù con aromi “segreti” (pepe nero, chiodi di garofano? Chissà!) e mescolava i piselli con inconfondibili cubetti di mortadella. E anche in altre regioni non mancano interpretazioni creative per gli arancini, come l’aggiunta di ‘nduja in Calabria o, neanche a dirsi, di mozzarella in quella che in Campania chiamano però “palla di riso” (pall’e riso).

L’origine araba dell’arancino

Al contrario delle diatribe campanilistiche, un’altra cosa su cui tutti concordano è l’origine saracena dell’arancino (ma anche del risotto alla milanese!). Infatti è una tradizione araba condire il riso con zafferano, carne e piselli. La prova? Basta guardare la forma dell’antichissimo kibbeh (“palla” in arabo, detto anche qubbah o kubbe), piatto nazionale in Libano, Siria e Iraq. Consiste in una polpetta di bulgur (grano tritato) o semolino con una forma di goccia appuntita. Il ripieno è di carne d’agnello, aromatizzata con erbe (spesso anche zafferano!), da servire fritta, lessa o anche cruda.

Del resto sono parole di origine mediorientale sia “timballo”, sia “zafferano”, ma anche “arancia”. L’uso del pangrattato e della frittura, invece, risalirebbe alla corte di Federico II: la croccantezza del riso consentiva di preservare il sugo e i condimenti interni durante il trasporto, anche nelle battute di caccia o nei viaggi.

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