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Addio al Messina, e adesso?

Una scommessa persa. Un'impresa fallita. Una grande sconfitta. La più brutta, forse, perché sotto sotto, c'era chi ci aveva creduto davvero. Il Messina non c'è più. La mancata presentazione del ricorso contro l'esclusione da parte della Covisoc è l'atto finale di una storia che era già segnata da tempo. Dai debiti con il fisco e da quelli con i calciatori. Dalle decine di lettere degli avvocati di aziende e fornitori che chiedevano i propri soldi ai decreti ingiuntivi bloccati con enormi sacrifici.
La mancanza della fideiussione che ieri ha provocato la fine è solo l'ultimo atto. Dietro, ci sono decine di altri problemi e un fardello pesantissimo rappresentato da più di due milioni di debiti noti, e chissa quanti altri debiti occulti. Troppi, per sperare. Troppi, certamente, per un imprenditore come Franco Proto che in questo progetto voleva tuffarsi da amministratore pro tempore e che a febbraio ha capito che da semplice amministratore nulla avrebbe potuto. Il Messina era già destinato al fallimento. Su questo ci sono pochi dubbi. Il gruppo che lo ha gestito negli ultimi mesi non è riuscito a evitare una fine che era abbondantemente scontata. Ha le sue colpe, come ce le hanno tutte le gestioni che si sono succedute nell'ultimo decennio, nell'era del post Franza, chi più, chi meno. Di Lullo, Di Mascio, Chierichella, Santarelli, Martorano, i primi a prendere in mano il Messina dopo il fallimento dell'Fc, hanno avuto il torto di cominciare ad accumulare debiti in una società che era ripartita da un'asta fallimentare. Debiti che, di fatto, nel tempo mai sono stati saldati e in qualche caso sono pure cresciuti. Dalla prima autogestione cittadina, con le tre società e Manfredi presidente, all'era Lo Monaco, due promozioni e una indelebile retrocessione sanata dal ripescaggio, fino a quella Stracuzzi. Proto è l'ultimo di una lista di presidenti o comuqnue gestori che hanno fallito, ognuno in quota. Ora, per il Messina si apre una pagina nuova. Si deve aprire. Con quegli imprenditori che si erano avvicinati al calcio e che si sono allontanti perché questa società non era più salvabile. O anche con altri. Il Comune dovrà fare da garante, servono contanti per chiedere subito la D con una nuova società o con una società già esistente – Città di Messina o Camaro, per esempio. E poi servono coesione e unione di intenti. Quella che in questi anni solo una parte della città ha dimostrato. La tifoseria. La parte più debole, sulla carta, che invece è stata l'unica a mettere davvero le mani in tasca, a fare l'atto d'amore. Millecento abbonamenti a scatola chiusa. Da quelli bisogna ripartire. E in fretta. Perchè altrimenti si rischia che a finire non sia stato solo l'Acr, ma tutto il calcio a Messina. E i tifosi, almeno quei millecento tifosi, non lo meritano.

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