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Judo, la storia di Carolina che sogna le ParaOlimpiadi del 2020 a Tokyo

L’obiettivo sono le Olimpiadi di Tokyo 2020. Partiamo dal sogno nel cassetto di Carolina Costa. Una ragazzona di 24 anni (compiuti lo scorso 25 agosto). Figlia d’arte: il papà il compianto maestro Franco Costa, la mamma la polacca Katarzyna Juszcak, con alle spalle le due Olimpiadi di Barcellona (1992) e Atene (2004), da oltre venticinque anni a Messina.

Carolina, una vita dedicata al judo, il suo grande amore trasmessogli dai genitori. Ha vinto tutto quello che era possibile sin da bambina su tutti i tatami: dagli Esordienti a Cadetti, Junior, Under 23 e Assoluti. Lo scorso anno si è assicurata la medaglia d’argento agli Assoluti, il bronzo nella Coppa Italia e la medaglia d’oro ai Campionati italiani Universitari. All’inizio di quest’anno il settimo posto agli Assoluti. Poi l’inevitabile “ritiro” dalle classifiche dei normodotati Fijlkam. Inevitabile come quelle montagne che il destino ti mette davanti, chiedendoti di scalarle.

La vita che cambia da un giorno all’altro, da un’ora all’altra. E tu devi farcela, non puoi non farcela anche se ti verrebbe voglia di mollare tutto. Ma tu sei una combattente nell’animo. E allora si va avanti.  L’odissea comincia già nel 2016 racconta Carolina: «Mi è stata diagnosticata una malattia agli occhi denominata Cheratocono, una malattia progressiva della cornea, che si assottiglia e si deforma, assumendo una caratteristica forma conica. Ho sempre portato gli occhiali ma non pensavo che si potesse trattare di una malattia così grave e degenerativa, il mio pensiero è sempre stato quello di praticare judo, indossavo le lentine e non ho mai approfondito la questione. Nel 2016 nel corso di un controllo, un oculista messinese mi ha diagnostico questa malattia consigliandomi di fare ulteriori controlli a Roma, dove mi viene confermata la diagnosi. Malgrado ciò continuo la mia attività di atleta e partecipo agli Assoluti, ma la sera prima della gara ho avuto un abbassamento della vista mentre ero a cena. In quell’occasione ricordo che ero al tavolo con mia madre e il mio allenatore Vittorio Scimone, e non vedovo più, avevo perso l’80% della vista dall’occhio sinistro. Nonostante tutto disputo ugualmente la gara il giorno dopo ma una lentina mi rimane all’interno dell’occhio, causando un danno irreversibile alla retina. Mi ritiro dalle gare e decido, anche se la decisione è arrivata dopo un anno, di operarmi  in una clinica polacca anche perché rispetto all’Italia i costi erano la metà. Mi opero a Brozov in Polonia, città natale di mia madre, dove mi confermano la malattia. Mi hanno anche detto che rischiavo il distacco della retina, mi sono dovuta operare per cercare di ripristinare la retina e per bloccare la malattia. Purtroppo per il cheratocono non c’è soluzione».

Tutto ciò cosa ha comportato? «Sono diventata un’ipovedente perché dall’occhio sinistro vedo soltanto delle ombre colorate  e non so se andrò a peggiorare, dall’occhio destro ho perso il cinquanta per cento».
Come è cambiata la tua vita?«Letteralmente stravolta. Non ho più la patente, a 24 anni essere indipendente era bellissimo, sto cercando di reagire, ho creato una mia palestra il “Judo Club Franco Costa” in memoria di mio padre, sono stata per cinque anni al Cus Unime ma ho deciso di crearmi un futuro tutto mio, e riparto da zero. Per quanto riguarda lo studio, ovviamente non riesco a leggere: sono iscritta in Scienze Motorie, ma non avendo ancora appreso il linguaggio Braille, devo capire come muovermi per completare gli studi, cerco di risollevarmi perché non è facile ripartire, soprattutto perché mi avevano detto che non avrei più potuto fare judo: dopo l’intervento mi hanno prescritto delle lenti di vetro che sono curative perché intervengono sulla cornea ma non posso usarle sul tatami».

Un handicap che non ti ha precluso di fare judo. «Almeno quello: sono entrata a far parte della Nazionale italiana della Fispic (Federazione italiana sport paralimpici ipovedenti e ciechi) in attesa che venga assorbita dalla Fijlkam, sto scoprendo un mondo sconosciuto, adesso mi rendo conto che un ipovedente fa uno sforzo maggiore. Ho già fatto due raduni a Roma con il tecnico Roberto D’Amanti e il ds Rosario Valastro tecnici della Fijlkam, e sono in partenza per i Mondiali Senior per Ciechi e ipovedenti in programma a Lisbona (da ieri al 17 novembre, ndc) dove gareggerò nella categoria +70 kg».

In cosa si differenzia un incontro tra ipovedenti? «In tante cose. Per me è tutto un mondo nuovo,  c’è un arbitro che ti accompagna sul tatami, ti aiuta a rialzarti e farti mettere in posizione da combattimento con le prese sul judogi dell’avversaria: al bavero e alla manica si parte con le prese, la fuoriuscita dall’area di gara non è sanzionata, sarà tutto comunicato a voce, i tecnici a bordo tatami possono dare dei suggerimenti. Ovviamente venendo dal mondo dei normodotati probabilmente incontrerò delle difficoltà rispetto a chi è cieco dalla nascita».

Il tuo sogno come ci hai anticipato è arrivare a Tokyo nel 2020. «Dopo il mondiale, ho intenzione di tentare la scalata per la qualificazione per le Paraolimpiadi di  Tokyo 2020, che poi era lo stesso obiettivo di quando gareggiavo tra i normodotati e i mondiali di Lisbona rappresentano il primo appuntamento per accumulare punti per la ranking list. Dopo i mondiali parteciperò a un torneo internazionale in Canada che consentirà di guadagnare  punti importanti».

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