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Antonio, il messinese "giramondo del pallone"

Antonio Stelitano

Dalla lezione dei classici latini e greci al campo di calcio, con la valigia sempre pronta per scoprire culture differenti. Il mosaico della vita di Antonio Stelitano, trentunenne calciatore giramondo, si arricchisce sempre di più ogni volta che colleziona magliette. Impresse nella sua mente le esultanze in lingue diverse, e quei tifosi calorosi che lo hanno sempre stretto in un grande abbraccio facendogli sentire meno la mancanza della città dello Stretto.

Sette i Paesi in cui ha messo piede per inseguire il suo sogno di diventare calciatore, anche se i suoi genitori, almeno inizialmente, si aspettavano altro per il suo futuro: «Ho mentito alla scuola calcio. Infatti, avevo solo cinque anni - ha raccontato Antonio - quando mi sono iscritto. E come tutti i ragazzi di quella generazione nata senza i social sono cresciuto giocando in cortile con i miei amici. La passione non si è spenta, ma gli studi mi hanno tenuto ancorato alla mia città».

Dopo la maturità classica conseguita al liceo Maurolico, diversi i provini fatti, in un periodo in cui il Messina era in serie A e il clima sportivo era accesissimo, fino all'approdo in serie C con l'Igea Virtus. Un periodo emozionante per la firma del primo contratto e del primo goal tra i professionisti. E proprio questo creò un ponte con l' Argentina: «Avevo avuto delle esperienze fuori, ma mai così lontano. Mi ero pure iscritto a Giurisprudenza e avevo dato diverse materie e quando comunicai la notizia a casa i miei capirono che dovevano assecondare la mia passione nonostante la normale perplessità iniziale».

Un viaggio di scoperta, iniziato senza troppe domande: «Ho conosciuto me stesso e i miei limiti. Non parlavo completamente lo spagnolo e cercavo di imparare le prime parole salvavita che puntualmente dimenticavo, anche se poi la fame, e in generale gli istinti primari, mi hanno aiutato». Dopo sei mesi, le lacrime per la fine di un' avventura, una breve parentesi in Romania, il ritorno in Italia e il grande salto in serie A con il Parma. Anche se i colori giallo-blu non li ha mai indossati: « Sono stato mandato subito in prestito a Santo Domingo e ho vinto lo scudetto con il Moca. Ed è stata una duplice soddisfazione perché sono stato l'unico italiano a raggiungere questo traguardo e a salutare tutta la folla estasiata con foto e autografi».

Il giovane, che ha riscoperto la fede in Dio proprio dove si tocca con mano la povertà e nonostante ciò tutti affermano con gioia: “Que Dios te benediga”, ha messo a disposizione parte del suo tempo libero per regalare un sorriso alla comunità dominicana. «Con la squadra andavamo spesso a trovare i bambini orfani e che magari non avevano l' opportunità di comprarsi delle scarpe, e così le donavamo noi insieme a magliette e palloni. E del resto dopo che la vita ti ha regalato tanto ti senti quasi in dovere di restituire qualcosa».

Al termine della stagione è arrivata l' opportunità spagnola nel Buelna, vicino Santander, tre anni in serie B in Romania dove è stato anche capitano nel Balotesti, poi nel Melistar, a Melilla, una città autonoma della costa orientale del Marocco, e infine la Lituania, con il Nevezis: «Ho fatto più di ciò che avrei immaginato e al di là dei risultati calcistici ottenuti ho imparato diverse lingue, conosciuto tantissime persone e mi sento arricchito».

E da un mese è cominciata l'esperienza in uno dei posti più freddi al mondo, la Mongolia: «L'anno scorso qui c' è stato un allenatore italiano, Marco Ragini, che mi conosceva abbastanza bene e che mi aveva già offerto la possibilità di raggiungerlo in Asia, ma avevo già preso accordi. Mi rimase questo pallino e quest' anno, dopo aver ripreso i contatti, sono approdato all'Anduud city».

Una squadra decisamente particolare dove sono presenti, oltre il nostro concittadino, solo tre calciatori stranieri: un russo, un olandese e un uzbeko. E un mercato, quello asiatico, allettante e in via di espansione. Basti pensare all' ex ct della nazionale Marcello Lippi, ormai da diversi anni in Cina. « Sono qui da un mese e ho imparato le parole basilari necessarie per stare in campo e comunicare con i miei compagni. Ma sono consapevole che per imparare il mongolo non basterebbe una vita».

Il giovane, cresciuto con il mito del suo idolo e pari ruolo Paolo Maldini, ritiene che un buon calciatore si qualifica in base alle azioni che compie soprattutto fuori dal terreno di gioco. Si reputa fortunato e sogna un giorno di poter tornare in Italia una volta appesi gli scarpini al chiodo: «Non so se farò l' allenatore, il dirigente o il procuratore - conclude il calciatore - ma sicuramente vorrò mettere a disposizione tutta la mia esperienza per aiutare altri a realizzare il loro sogno». Come il suo. Quello di un pazzo, come ama definirsi, che correva sulla litoranea di Messina nord in attesa della chiamata che gli ha cambiato davvero la vita».

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