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Calcio femminile, il ct Bertolini premiata a Messina: "Servono più strutture per il Sud"

Milena Bertolini

Se il calcio femminile è in forte crescita, una fetta di merito ce l’ha Milena Bertolini. Il ct azzurro è il simbolo di un calcio femminile in auge dopo il “boom” Mondiale che ha visto la nostra Nazionale fermarsi ai quarti. Ma in quei giorni l’Italia pallonara si è innamorata di un gruppo sapientemente guidato da un’emiliana che ha speso tutta la sua vita per il calcio.

Dapprima tirando calci a un pallone, poi regalando consigli dalla panchina. Scudetti e vittorie per la Bertolini che due anni fa ha raccolto i frutti di una vita con la chiamata azzurra e proprio nei giorni scorsi ha ritirato a Messina il prestigioso “Premio Mimmo Barbaro”, organizzato dallo “Juventus Club John Charles” dell'instancabile Gustavo Ricevuto, succedendo a grandissime firme dello sport italiano.

Una due-giorni che ha anche permesso alla Bertolini di visionare le strutture presenti in riva allo Stretto («Ottima impiantistica, vorrei presto tornare con la Nazionale») e innamorarsi di una città («Prima volta a Messina, il calore della gente del Sud sarebbe importante per il nostro movimento») che si candida – sarebbe una prima volta – a ricevere, per il momento solo in via amichevole, una partita dell’Italrosa.

Finalmente è un movimento in crescita dopo il boom Mondiale.

«Adesso si parla di calcio femminile e si è conosciuti, le bambine vogliono giocare a calcio e questo è un primo successo. Poi c’è una considerazione diversa del nostro mondo rispetto al passato. I pregiudizi rimangono nel pensiero dell’italiano medio, soprattutto in chi è avanti nell’età. Tra i giovani, invece, c’è un’altra mentalità e mi auguro che gli investimenti garantiscano una crescita ancora più ampia per il movimento femminile. Altrimenti c’è il rischio di veder svanire l'effetto Mondiale».

Professionismo: ci siamo quasi.

«Lo reputo un passo necessario per accorciare il gap con gli altri Paesi. L’emendamento presentato in Finanziaria è un passo fondamentale per arrivare all’approvazione della legge. Puntare al professionismo non vuol dire chiedere stipendi più alti: solo far valere i propri diritti, avere una tutela pensionistica e giustificare una carriera di 15-20 anni che assicuri il giusto riconoscimento al lavoratore in ambito contributivo. Non si chiedono le cifre degli uomini, solo il giusto ombrello previdenziale. E uno stipendio minimo per ogni giocatrice».

È questo lo step per far compiere il salto di qualità al movimento?

«Le ragazze per l’impegno che ci mettono negli allenamenti e in partita sono già professioniste. Il loro amore per il calcio va oltre la legge e uno stipendio migliore. La “battaglia” è soprattutto per le ragazze che non sono in orbita Nazionale, per chi gioca dietro le quinte e compie gli stessi sacrifici delle più famose. La prospettiva è quello che interessa al calcio femminile, si sta solo chiedendo la regolarizzazione al precariato».

Arriverà il calcio “rosa” ad essere equiparato a quello maschile?

«Difficile che succeda. La storia dei due mondi è diversi. Il calcio rosa è più giovane. E poi c’è un muro culturale ancora da abbattere. Però credo che il football femminile con azioni importanti possa presto avere un grande seguito perché manda anche messaggi importanti che piacciono alla gente. L’obiettivo non è arrivare al successo dei maschi: il nostro mondo avrà sempre le sue specificità».

La Juventus vince anche con le donne perché investe di più?

«I motivi sono diversi. Innanzitutto, la Juve è partita con una visione ampia, credendo nel movimento, e investendo con una importante prospettiva futura. Ci sono idee e progettualità a Torino e i risultati si vedono. I successi si costruiscono con la programmazione e le risorse sono fondamentali per arrivare all’obiettivo. Mi piace sottolineare che la Juve ha cominciato con i settori giovanili in Piemonte. Con la prima squadra, invece, ha puntato su giocatrici forti per vincere subito e sta portando avanti un progetto ambizioso con un gruppo che vince da alcuni anni e che vuole arrivare ad alzare la Champions. Un percorso di crescita a 360° economico-strutturale che va oltre i successi maturati sul campo. È un esempio da seguire, ma le altre sono sulla buona strada. Milan e Roma stanno facendo bene, da quest'anno in A c’è anche l'Inter, Fiorentina e Sassuolo hanno tutto per crescere ancora».

La nota dolente resta il Sud.

«È vero, e mi dispiace perché il Meridione è fucina di grandi talenti che spesso non hanno l'opportunità di mostrare le proprie doti. Le cause principali sono due: la carenza di impianti e una cultura troppo arretrata. Al Sud i paletti invisibili impediscono al movimento di crescere. Forse le famiglie non sono ancora pronte per mandare le bambine a giocare al calcio giudicandolo uno sport ancora troppo maschile. E poi dovrebbero fare anche di più le Amministrazioni comunali con progetti atti ad avvicinare le ragazzine allo sport e anche questo mondo. E poi, elemento da non sottovalutare, mancano le squadre maschili che investano sul movimento rosa. Un esempio su tutti: il Napoli non ha una squadra femminile. Idem il Bari e il Palermo. Mancano i club maschili di riferimento che facciano da traino. Al Nord tutto è cominciato così».

L'eventuale presenza della Nazionale al Sud può servire a svegliare il movimento?

«È un’idea. E la visita a Messina mi ha permesso di scoprire una grande eccellenza: l’impiantistica del Cus. Credo che sia difficile trovare una Cittadella così in Italia, un vanto per Messina e per tutto il Sud. Con queste strutture sarebbe bello poter portare la Nazionale a Messina, oltre al messaggio importante che arriverebbe al Meridione. C’è bisogno di strutture per far crescere il calcio femminile».

La Federazione è pronta a coinvolgere le piazze del Sud?

«L’entusiasmo del Sud è coinvolgente ma il problema di molte piazze è la mancata omologazione dei propri stadi ai parametri Uefa. E senza questo “visto” è impossibile poter giocare una gara di qualificazione agli Europei in certe piazze. Messina e altre piazze pagano questo aspetto. Il “Franco Scoglio”, ad esempio, non è omologato a livello europeo e questo è un handicap. In altri casi mancano le strutture di supporto, come campi di allenamento e palestre, anche per la disputa di una amichevole. Sto spingendo molto per la crescita del Sud, ma certe situazioni non si possono risolvere solo a Roma».

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