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Mafia a Palermo, droga dalla Calabria: colpo al mandamento di Brancaccio. 31 arresti - I NOMI

Vasta operazione antimafia stanotte contro la cosca del mandamento di Brancaccio. Polizia di Stato e carabinieri hanno eseguito 31 arresti (29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari) nei confronti di soggetti accusati, a vario titolo, di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Mafia a Palermo, droga dalla Calabria: colpo al mandamento di Brancaccio. 31 arresti - I NOMI

Vasta operazione antimafia stanotte contro la cosca del mandamento di Brancaccio. Polizia di Stato e carabinieri hanno eseguito 31 arresti (29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari) nei confronti di soggetti accusati, a vario titolo, di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, detenzione e produzione di stupefacenti, detenzione di armi, favoreggiamento personale ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso.

Il provvedimento - emesso dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo - segue il provvedimento di fermo eseguita nel luglio 2020. Anche l’operazione di stanotte riguarda il mandamento di Brancaccio che comprende le «famiglie» mafiose di Brancaccio, Corso dei Mille e Roccella. Ma il provvedimento riguarda anche la famiglia mafiosa di Ciaculli. La Squadra Mobile di Palermo e il Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della polizia di Stato hanno eseguito le misure, oltre che a Palermo, anche a Reggio Calabria, Alessandria e Genova.

I nomi degli indagati

In carcere sono finiti: i palermitani Vittorio Emanuele Bruno, 43 anni; Ludovico Castelli, 55 anni; Paolino Cavallaro, 28 anni; Girolamo Celesia detto Jimmy, 53 anni; Settimo Centineo, 39 anni; Antonino Chiappara, 55 anni; Giuseppe Ciresi, 33 anni; Maurizio Di Fede, 53 anni; Gioacchino Di Maggio, 39 anni; Pietro Paolo Garofalo, 53 anni; Sergio Giacalone, 53 anni; Francesco Greco, 64 anni; Antonino Lauricella, 52 anni; Ignazio Lo Monaco, 46 anni; Antonino Lo Nigro, 42 anni; Salvatore Lotà, 62 anni; Tommaso Militello, 58 anni; Rosario Montalbano, 35 anni; Antonino Mulé, 41 anni; Tommaso Nicolicchia, 38 anni; Francesco Oliveri, 37 anni; Onofrio Claudio Palma, 43 anni; Vincenzo Procaccianti, 40 anni; Emanuele Prestifilippo, 51 anni; Cosimo Salerno, 44 anni; Andrea Seidita, 48 anni; Luciano Uzzo, 52 anni; Giuseppe Parisi 45 anni, nato a Melito Porto Salvo (Rc); Pietro Parisi, 41 anni, nato a Siderno (Rc).

Ai domiciliari: Michele Mondino, 78 anni e Giuseppe Orilia, 71 anni.

Azzerato il vertice del mandamento di Brancaccio

Si tratta del regno incontrastato - un tempo - dei fratelli Graviano. Le indagini della polizia hanno consentito di ricostruire gli assetti delle famiglie mafiose di Brancaccio, identificando i probabili vertici, gregari e soldati, che si sarebbero occupate della gestione del «pizzo» e della gestione delle numerose piazze di spaccio a Brancaccio, tutte attività necessarie al mantenimento dell’associazione dei suoi sodali e delle famiglie di quelli detenuti.

I nomi "eccellenti" e lo "sfiscionaro"

Tra i destinatari personaggi del calibro di Giovanni Di Lisciandro - ritenuto al vertice della cosca - Stefano Nolano, Angelo Vitrano e Maurizio Di Fede, quest’ultimo sarebbe il «responsabile operativo» per il settore delle estorsioni e del traffico di droga. Oltre 50 - dicono gli investigatori - le estorsioni documentate ai danni di titolari di esercizi commerciali, dimostrativi che le attività produttive della zona sono sempre oggetto di attenzione dell’articolazione mafiosa e molti esercenti, dal piccolo ambulante abusivo fino all’operatore della grande distribuzione, ma anche nei confronti dello «sfincionaro» che dopo avere ricevuto i tipici segnali (attack nelle saracinesche del laboratorio) chiede la «messa a posto». Tra quelli documentati anche «la pervicacia dimostrata dagli estortori di Brancaccio che non avrebbero esitato ad effettuare il sopralluogo presso un cantiere edile nelle immediate vicinanze del commissariato di polizia, finalizzato alla successiva eventuale richiesta estorsiva».

A Ciaculli case e acqua erano "affare di famiglia"

L’organizzazione mafiosa avrebbe imposto le cosiddette sensalerie, delle vere e proprie mediazioni, sulle compravendite di immobili nel territorio. Emerge dall'inchiesta che ha consentito, tra l’altro, di ricostruire i vertici e le attività del mandamento mafioso di Ciaculli. I cittadini per concludere affari immobiliari, si sarebbero visti costretti ad accettare l’intermediazione degli indagati ritenute dagli investigatori delle vere e proprie estorsioni. Molto diffusa nella zona sarebbe stata la coltivazione di cannabis che serviva a rifornire le piazze di spaccio del capoluogo.

La mafia di Ciaculli avrebbe anche messo le mani sull'acqua. Soprattutto quella irrigua da fornire ai contadini. Acqua che sarebbe stata sottratta direttamente alla conduttura «San Leonardo», di proprietà del «Consorzio di Bonifica Palermo 2». Gli uomini della famiglia mafiosa di Ciaculli avrebbero deviato l'acqua delle condutture incanalandola in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini nelle campagne Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate. Per molti produttori la famiglia di Ciaculli era diventata punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali nella coltivazione.

Dalle indagini è anche emerso che il clan di Ciaculli avrebbe avuto a disposizione un vero e proprio arsenale di armi. Uno degli arrestati, Emanuele Prestifilippo, è stato trovato con un fucile da caccia marca Beretta cal. 12 e otto munizioni celate all’interno di alcune balle di fieno accatastate nel maneggio di sua proprietà nella zona di Croceverde Giardini. I militari hanno accertato, infine, che la famiglia mafiosa poteva contare anche su numerose armi semiautomatiche gestite e nascoste nelle campagne di Ciaculli. Armi che sinora non sono state trovate.

Gli incassi dello Sperone, la droga dalla Calabria

Cosa nostra torna a puntare sul traffico di stupefacenti che rappresenta un’importante voce nel bilancio delle famiglie mafiose. Emerge dall’inchiesta che, dalle «sei piazze di spaccio dello Sperone», tutte direttamente gestite o comunque controllate dai componenti dei clan, il ricavo presunto calcolato è di circa 80.000 euro settimanali. Nel corso delle indagini è emerso che le cosche si rifornivano di droga dalla Calabria. Durante l’inchiesta sono stati 16 gli arresti in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e sono stati sequestrati circa 80 chili di droga tra cocaina, purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8 milioni di euro.

Cosa nostra dietro il furto di 16 mila mascherine

Ci sarebbe Cosa nostra dietro al furto di venti cartoni con 16mila mascherine FFp3 sottratte per rivenderle, in piena emergenza epidemiologica. Nella misura cautelare, ricordando un episodio emerso già tre anni fa, il giudice stigmatizza la subcultura mafiosa sottolineando che «non ci si può esimere dal rimarcare che costituisce plastica dimostrazione di come la scelta di vita degli indagati sia fondata, già in termini culturali e ideali, proprio su un principio di contrapposizione ai fondamenti della libertà democratica e al rispetto delle regole, il reiterato utilizzo delle parole 'sbirro o carabiniere' quali vere e proprie offese che si ritrova in più conversazioni intercettate». Il gip richiama una intercettazione di un boss, già venuta fuori anni fa, che nel maggio del 2019, durante i preparativi per il ricordo della strage di Capaci e via D’Amelio, bacchettava il familiare di un coindagato perché voleva far partecipare la figlia alle iniziative scolastiche organizzate per commemorare i giudici Falcone e Borsellino. "E' per la verità ancora più sconcertante, il fatto che la formazione mafiosa - dice il gip - non abbia risparmiato nemmeno una bambina in tenera età che, dopo lunga preparazione, si accingeva a partecipare a una iniziativa scolastica in memoria dei rimpianti giudici Borsellino e Falcone».

I prestanome dei clan: sequestrati beni per 350mila euro

La polizia giudiziaria, che oggi ha arrestato 31 persone in una inchiesta congiunta di carabinieri e polizia sui clan palermitani, ha eseguito un sequestro preventivo del capitale sociale, di beni aziendali e dei locali di alcune imprese per un presunto valore complessivo di circa 350.000 euro. Secondo le indagini i beni sarebbero stari intestati a prestanomi di mafiosi. Al centro dell’indagine sono finite una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.

 

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