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«Cùntami», un viaggio emozionale in Sicilia tra i nuovi narratori orali

La narrazione come ritorno ad una fase ancestrale, in cui il mito fa da ponte con la nostra contemporaneità, per leggere attraverso figure simbolo il presente. È ciò che ha fatto la regista Giovanna Taviani, figlia del grande Vittorio, romana ma fortemente legata alla Sicilia (è ideatrice e direttrice del SalinaDocFest)e alle sue tradizioni, sin da quando, ancora bambina, il padre la portava in vacanza alle Isole Eolie, a contatto con i grandi miti della terra di Sicilia. E lì infatti è tornata col suo acclamato documentario “Cùntami”, viaggio fisico ed emozionale alla ricerca dei nuovi narratori orali che affondano le proprie radici nell’epica, con il mito come chiave interpretativa del presente (il docu è disponibile su RaiPlay).

Un cammino artistico che parte da Palermo, dove la regista sei anni fa incontra Mimmo Cuticchio, ultimo cuntista e puparo vivente, per arrivare ai suoi allievi sparsi per la Sicilia: Vincenzo Pirrotta, Giovanni Calcagno, Mario Incudine (anche autore della colonna sonora), Yousif Latif Jaralla e Gaspare Balsamo. Quest’ultimo ha affiancato la regista alla prima messinese del film al Cinema Lux, nell’ambito della 60esima stagione del Cineforum Orione.
«Ho scoperto in Cuticchio un Omero ancora vivente che ha fatto scuola portando avanti dal dopoguerra la tradizione degli operanti, oggi patrimonio Unesco – ci dice la regista – . Da lì ho deciso che avrei raccontato la sua grande conquista rispetto all’opera dei pupi, perché Mimmo ha costruito i pupi di nuova generazione come Ulisse, Polifemo e Don Chisciotte, protagonisti della grande epopea che va anche al di là del ciclo carolingio. I suoi allievi tengono viva questa tradizione e traducono l’Iliade e l’Odissea per raccontare l’oggi».

Non una riproposizione polverosa del mito, quindi, ma un punto di partenza per fare denuncia sociale….
Taviani: «Proprio così. Oggi mancano le grandi ideologie dei nostri padri e il mito ci può viene in soccorso. Pensiamo ad Ulisse che fu il primo vero migrante e Arete, la madre di Nausicaa, lo accolse in casa, perché il naufrago allora veniva accolto e non respinto. Questo dimostra quanto parli alla nostra contemporaneità».

Sulla stessa linea di pensiero anche il trapanese Gaspare Balsamo, impegnato a 360 gradi nella ricerca sul cunto e nella sua diffusione in veste di autore, attore, divulgatore e formatore (ha pubblicato nel 2021 il libro “Sotto il segno del cunto” per Editoria & Spettacoli e tenuto seminari e laboratori dedicati): «L’epica cavalleresca, parte del repertorio dell’opera dei pupi e del cunto siciliano è un linguaggio che ha a che fare con la nostra contemporaneità – ci ha detto – . Basti pensare all’esorcizzazione di una sorta di guerra civile che il siciliano combatte con se stesso, perché cristiani e saraceni sono stati siciliani a quel tempo e lo sono tuttora. L’ondata di migranti che arrivano oltre il mare nostro non fa altro che rimestare questa grande epica, che è l’epica dell’incontro e dello scontro nella grande culla del Mediterraneo».

Come si inserisce la narrazione del cunto tra i linguaggi contemporanei, soprattutto quelli tipici del Web?
Taviani: «Il cunto ha una funzione linguistica non meno importante di quella narrativa. La sua tradizione millenaria ridà funzione al linguaggio contro l’attuale perdita di linguaggio. I ragazzi non sanno più raccontare cosa hanno fatto nella giornata, scrivono brevemente su WhatsApp; quindi la funzione del cunto è ridare senso al linguaggio. Ma siamo sulla buona strada, perché diversi giovani dimostrano attenzione alla funzione della parola in sé. Pensiamo ad esempio alla trap che rimette in primo piano la parola contro la rima della tipica canzone di Sanremo, la prosa contro la poesia».

Nel cunto emerge la primarietà della funzione analogica della comunicazione, con il linguaggio del corpo e della voce in primo piano. È questo l’elemento cardine della formazione?
Balsamo: «Sicuramente, la formazione continua in una maniera analogica. Dentro il grande magma della contemporaneità e della tecnologia, tornare all’utilizzo dell’autorialità del corpo e della voce dell’attore dà un forte senso di teatralità a quest’arte. Infatti il racconto dal vivo davanti alle persone dà alla performance un’aura di sacralità, come fosse un rito».

Ed è proprio la realizzazione di cunti contemporanei che sta ancora tenendo in vita quest’arte straordinaria.
«Non è più un teatro esclusivamente di repertorio e oralità pura – aggiunge Balsamo – . Siamo uomini del presente e raccontiamo storie nuove, canovacci nuovi, che hanno a che fare con la nostra vita, la nostra biografia e i nostri maestri presenti e remoti. Tant’è che nel film faccio dialogare Don Chisciotte con Peppino Impastato…».

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