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Locali vuoti, insegne rimosse e saracinesche abbassate: il centro di Messina in agonia

Si è detto sempre che l’opulenza e la miseria di una città si rispecchiano nelle sue vetrine. E oggi, più che mai, la desolazione del centro di Messina quasi desertificato si riflette in quelle saracinesche abbassate, in quei cartelli di “affittasi” o “vendesi” che si susseguono, uno dopo l’altro.

Via Giordano Bruno, piazza Cairoli, via dei Mille e le altre strade che gravitano attorno al Viale, lo storico cuore commerciale della città: è una lunga teoria di locali vuoti, di insegne rimosse, di chiavistelli arrugginiti.

La crisi pre-esisteva al coronavirus - si legge sulla Gazzetta del Sud in edicola -. Lo sappiamo tutti. Nell’ultimo decennio, un negozio su tre chiudeva i battenti e solo in pochi casi veniva rimpiazzato. Certi proprietari di immobili e botteghe, anziché abbassare gli esosi prezzi d’affitto e venire incontro agli esercenti, preferivano tenere chiusi i locali, procurando un danno, oltre che ai commercianti affittuari, a se stessi e alla città. Quando, in pieno centro, un negozio resta con le serrande abbassate per lunghi mesi, che poi diventano anni, si trasforma in un elemento di degrado, uno sfregio al decoro urbano.

Poi, è arrivato il Covid-19 con la furia di uno tsunami. Per circa tre mesi Messina, come tante altre città, ha vissuto in una bolla d’irrealtà denominata “lockdown”, come in una favola disneyana. Come la Bella Addormentata nel bosco, assopita nel suo sonno eterno, in attesa del bacio di un principe azzurro che la risvegliasse. Ma non sembra esserci, almeno per ora, alcun lieto fine in questa “favola” tradotta in messinese. Chi ha riaperto merita veramente una medaglia al valor civile, anche perché, oltre al rischio (fattore inevitabile per chiunque si muova in ambito economico e operi nel commercio), si vede costretto a lavorare in un contesto urbano sempre più malinconico, disperante, nonostante l’azzurro e i colori che arrivano dallo Stretto.

L’e-commerce, in mano a colossi come Amazon, ormai da anni, sta togliendo sempre più terreno da sotto i negozi, intesi come luoghi fisici, e nel mondo dove tutto è virtuale, si preferisce la rapidità di un click piuttosto che il gusto di una passeggiata in centro. I segnali erano evidenti da tempo, la pandemia ha soltanto accelerati processi da molti considerati ormai irreversibili. Eppure...

Eppure non ci si può rassegnare a questa discesa nel baratro che non colpisce solo quella parte di commercianti incapaci di rispondere alle sfide tecnologiche e al passo imposto dai nuovi tempi, ma tutto il settore, e l’economia di una città che vive sostanzialmente di terziario. E colpisce, come detto, il suo decoro, la sua immagine, il cuore e l’anima.

L’aspetto più deprimente è che, alle dichiarazioni fatte a caldo dagli esponenti delle organizzazioni di categoria in merito ai risultati fallimentari della prima settimana di saldi estivi, si è reagito con malinconica rassegnazione, come a dire «e di che ci stupiamo? Lo sapevamo già». Alla domanda rivolta da Confesercenti ai commercianti su «Come giudica l’andamento della prima settimana di saldi estivi rispetto allo scorso anno?», il 67% dei soggetti intervistati ha risposto “negativo”, mentre il 33% ha ritenuto il peso delle vendite “ininfluente” rispetto al 2019. Nessun intervistato ha commentato positivamente l’andamento delle vendite in saldo.

Il bilancio anche nei giorni successivi presenta un saldo fortemente negativo, perché il raffronto è con l’estate prima della pandemia. Non si navigava nell’oro, nel 2019, ma gli effetti dello tsunami Covid sono stati devastanti per la semplice ragione che oggi, a Messina, una famiglia su due ha vissuto, o vive ancora, con i sussidi di Stato, Regione e Comune. Ecco perché il 77% dei commercianti interpellati non crede in un miglioramento decisivo nelle prossime settimane.

L’analisi di Confesercenti è andata al di là: si è chiesto di indicare quali sono le cause del fallimento dei saldi. Le risposte, quasi scontate: «Il calo del potere d’acquisto delle famiglie», «la paura del contagio», «l’utilizzo dello smart working», «la mancanza di turisti in città, «l’assenza di iniziative culturali dell’estate 2020», «le complicazioni nell’accesso ai punti vendita per il distanziamento, misure di sicurezza e impossibilità di provare i capi in negozio». I commercianti messinesi si stanno dando da fare, come testimonia l’incremento delle strategie di vendita online. Ma lo squallore che emerge da quelle vetrine “in lutto”, da quelle insegne cadenti, da quelle stanze ridotte a piccole discariche, da quei segni rimasti in memoria di una (defunta) attività commerciale, è lo specchio, purtroppo, di un’intera città. Messina è un malato grave, l’aspirina non basta più.

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