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Carmen Consoli a Noto, un gioiello tra i gioielli del Barocco FOTO | VIDEO

La facciata settecentesca di Palazzo Ducezio a fare da incomparabile fondale per un palco semplice ed essenziale, di fronte duemila persone ammassate e assiepate dovunque sulla scalinata del Duomo, volgendo lo sguardo ai lati alcuni veri e propri gioielli del Barocco siciliano che spuntano dietro la sommità degli alberi: una location che non poteva lasciare indifferente Carmen Consoli, giunta a Noto con il suo tour “Volevo fare la rockstar” che il 4 settembre – per non farsi mancare niente – farà tappa al Teatro Antico di Taormina (dove Carmen peraltro nel 2001 ha inciso con l’Orchestra del Vittorio Emanuele di Messina L’anfiteatro e la bambina impertinente, doppio disco di platino con oltre 200 mila copie vendute, ancora oggi uno dei live italiani di maggiore successo in assoluto). E alla fine di quasi due ore di musica, battute, frizzi, lazzi e chi più ne ha più ne metta, la “cantantessa” non si è potuta esimere da un commento entusiasta: «è stata una serata che non dimenticherò. Non dimenticherò la poesia di questi luoghi e la bellezza dei vostri sguardi. Stasera ho ricevuto un grande regalo».

Sentimento di gratitudine certamente condiviso da quanti hanno assistito a un concerto che dimostra una volta di più la straordinaria maturità artistica raggiunta dalla cantautrice catanese, classe 1974, venticinque anni abbondanti di carriera (il primo album Due parole è del 1996) costellati da oltre due milioni di dischi venduti. A meno di un anno dalla pubblicazione dell’omonimo album, la continua ricerca di una veste nuova e sorprendente – che ha caratterizzato in realtà quasi tutti i suoi tour, specie negli ultimi anni – ha portato la Consoli a sdoppiare di fatto il live: prima il leg invernale insieme ai soli Massimo Roccaforte alla chitarra e Marina Rei alla batteria, (con una setlist divisa in tre parti la prima delle quali costituita dall’esecuzione integrale di Volevo fare la rockstar), quindi una serie di date all’aperto con una formazione più tradizionale, almeno per quanto riguarda l’artista di San Giovanni La Punta: duechitarrebarratrè (la sua e quella di Massimo Roccaforte le “titolari”), due violini (Emilia Belfiore e Adriano Murania, musicista dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini che si è cimentato con le sei corde in versione elettrica, scatenandosi a scopo dimostrativo nell’assolo di Another brick in the wall dei Pink Floyd), i clarinetti di Concetta Sapienza, le tastiere di Elena Guerriero e una solidissima sezione ritmica composta dal bassista Marco Siniscalco, proveniente dall’orchestra del Festival di Sanremo, e dal batterista Antonio Marra conosciuto invece alla Notte della Taranta (e che deve essersi “scialato” più di chiunque altro, visto che si è accompagnato cantando praticamente tutta la scaletta).

Nel complesso, questa seconda formazione si fa preferire rispetto al trio Consoli-Rei-Roccaforte per una qualità musicale complessiva più omogenea e per arrangiamenti che, senza seguire pedissequamente le versioni in studio, le reinterpretano in maniera più coerente e immediatamente riconoscibile. E lei è così a suo agio da concedersi più del consueto: tira il plettro al tecnico intervenuto per il cavo della chitarra che non funziona, gioca con il backliner che continua a portarle acqua non abbastanza fresca, visto che è periodo di elezioni si dedica nella prima metà del concerto a tutta la “trimurti” del centrodestra (apertura con L’uomo nero che non è difficile identificare con Giorgia Meloni, poi Mago magone che somiglia a Salvini più di Salvini, infine la dissacrante AAA cercasi dedicata a Berlusconi e al “bunga bunga”). Rispetto al tour invernale, i brani tratti da Volevo fare la rockstar sono soltanto sei – e manca la title track, così come un po’ a sorpresa Confusa e felice – e la scaletta è pensata per un coinvolgimento progressivo del pubblico: dopo un assaggio da L’eccezione con l’ironica Fiori d’arancio e Pioggia d’aprile tocca agli album storici Confusa e felice (Bonsai #2, Blunotte e Venere che funge praticamente da segnale convenuto: tutti in piedi e da quel momento non si siederà più nessuno), Due parole (Quello che sento e ovviamente Amore di plastica), Mediamente isterica (Autunno dolciastro e Contessa Miseria) e soprattutto il pluripremiato Stato di necessità (Parole di burro, In bianco e nero, L’ultimo bacio e una sontuosa versione di Orfeo).

Quest’ultimo brano segna il ritorno sul palco della band dopo che Carmen si è esibita voce e chitarra in un intenso “intermezzo” con il trittico Blunotte-Contessa Miseria-Quello che sento, e a voler essere del tutto onesti è questa la sua dimensione migliore, quella in cui probabilmente oggi ha pochi (o non ha) eguali nella scena musicale italiana: la padronanza dello strumento, la capacità di trarne armonie complesse e sovrapposte, l’apparente fragilità di una voce sempre in controllo sono diventate con gli anni la sua cifra più vera e sincera, ed è probabilmente in questa veste che il suo infinito talento si dispiega nella maniera più compiuta. Il finale è ancor più legato a questa formula: a parte Guarda l’alba (da L’abitudine di tornare del 2015) gli ultimi pezzi e i quattro bis sembrano – ma non sembrano, sono – messi lì apposta per far scatenare il pubblico. A partire dall’ormai obbligato omaggio a Franco Battiato, con Tutto l’universo obbedisce all’amore che stavolta Carmen canta nell’ottava “giusta”, quella della voce femminile, a differenza di quanto aveva fatto nel tributo all’Arena di Verona nel quale, su consiglio dello stesso Battiato, aveva cantato nell’ottava più bassa (ma stavolta il grande Franco probabilmente aveva torto...), poi L’ultimo bacio e In bianco e nero e il finale con la solita, trascinante ’A finestra che chiude il concerto con il pubblico in delirio a ballare e saltare sui gradoni del Duomo. Sensazione finale: Taormina varrà veramente la pena.

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