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Regionali in Sicilia: l’eredità di Musumeci, i candidati in corsa

Le scelte delle forze politiche non sono state indolori. E la campagna elettorale non ha riassorbito le divergenze. Il boicottaggio del governatore uscente e le turbolenze che hanno segnato la scelta di Schifani. La strategia di De Luca, il fronte progressista dalle primarie alla rottura, lo strappo di Armao

I percorsi che hanno fatto maturare le scelte dei candidati sono stati segnati da tensioni e turbolenze. Ma non per tutti la fase preliminare della selezione ha avuto momenti di fibrillazione acuta. Cateno De Luca, per esempio, ha pianificato la sua sfida giocando ampiamente d’anticipo, interrompendo l’esperienza di sindaco di Messina per allargare il raggio della sfida alla Regione. E su questa scia si è mosso con arrembante determinazione. Tutto il contrario di Renato Schifani, l’ex presidente del Senato che si è ritrovato candidato del centrodestra dopo un logorante braccio di ferro tra gli alleati della coalizione. Da una parte l’asse Lega-Forza Italia, dall’altra Fratelli d’Italia. Alla fine del “tira e molla”, è maturata la scelta dell’ex presidente del Senato, soluzione immaginata per tentare di trovare una sintesi tra le rivendicazioni degli alleati. Fratelli d’Italia ha insistito fino ai minuti di recupero sulla ricandidatura del governatore uscente.

Ma contro Nello Musumeci si è scatenata una brutale (e ingenerosa) campagna di delegittimazione, alimentata soprattutto dal suo rivale storico, Gianfranco Miccichè, fino a ieri ras di Forza Italia in Sicilia. Il plenipotenziario di Berlusconi ha usato tutte le sue forze per boicottare il “Musumeci bis”, ma alla fine è arrivato al traguardo con il fiatone, tanto che la scelta del candidato gli è sfuggita di mano: il governatore uscente è stato scartato e la nomination è stata assegnata a Renato Schifani, regista e garante della fronda promossa da deputati e assessori regionali di Forza Italia contro la linea dispotica di Miccichè. Così alla fine il ras di Forza Italia è passato dalla padella alla brace. Perché l’eventuale elezioni di Schifani inevitabilmente segnerà una fase crepuscolare per Gianfranco Miccichè.

Né è pensabile che il presidente uscente dell’Ars, qualora fosse eletto, possa riprendere le redini di Sala d’Ercole, visto che nel manuale dei pesi e contrappesi la presidenza dell’Ars è appannaggio di un’altra forza della coalizione, in questo caso Fratelli d’Italia. Ma scenari e previsioni devono fare i conti con il verdetto delle urne e con una maggioranza che potrebbe essere più sfibrata di quella emersa dal voto del 2017, quando le truppe del centrodestra potevano contare su 36 deputati su 70. Una maggioranza nel tempo puntellata da travasi di Palazzo, “transumanze” e mercenari, secondo il malcostume delle porte girevoli. E non è escluso che questa volta sarà necessario aprire trattative preliminari per dare alla maggioranza un assetto di partenza meno “ballerino” ed esposto ai venti gelidi dell’Assemblea regionale.

Sul fronte del centrosinistra, invece, la candidatura di Caterina Chinnici si è imposta alla luce della consultazione popolare formalizzata dall’accordo tra Pd, Cinquestelle, Claudio Fava, Articolo Uno e altri satelliti. Solo che alla vigilia della presentazione delle liste il partito di Giuseppe Conte ha rotto il patto, lasciando il fronte progressista, avventurandosi nella corsa solitaria con il portabandiera Nuccio Di Paola. Così le potenzialità del centrosinistra si sono sgonfiate. Ma c’è di più. La faida interna al Partito democratico ha contribuito ad appannare la già debole candidatura di Caterina Chinnici, apparsa quasi rinunciataria rispetto a una campagna elettorale che sul versante dell’opposizione uscente avrebbe dovuto avere ben altro impulso. In questo senso non sono passati inosservati i richiami di Claudio Fava, più volte pungente nel ricordare al Pd e alla Chinnici che la campagna elettorale non si guarda con il binocolo dalla tribuna. E come se non bastasse, nel partito di Letta è straripata l’insofferenza per le scelte dei candidati alle Politiche, orchestrate dal vicesegretario nazionale, l’ex ministro Giuseppe Provenzano.

La vecchia guardia del Pd siciliano, con in testa Antonello Cracolici, ha sconfessato durante la campagna elettorale i vertici del partito, preannunciando la resa dei conti. Non certo il clima ideale per un partito che dopo 5 anni di opposizione dovrebbe avere l’ambizione di rappresentare l’alternativa.
Chi invece aspira a giocare un ruolo strategico negli equilibri dell’Ars (voti permettendo) e del nuovo governo è Gaetano Armao, vicepresidente uscente della Regione, protagonista dello strappo che l’ha portato a saline in sella al Terzo polo della coppia Calenda-Renzi. A completare il quadro la sfida solitaria di Eliana Esposito, candidata di “Siciliani liberi”, movimento indipendentista. A urne chiuse la campagna elettorale sarà solo un pallido ricordo. E il senso di responsabilità dovrà prevalere per consentire alla Sicilia di guardare al futuro.

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