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L'arresto di Messina Denaro, De Lucia: "Fondamentali intercettazioni. Mafia non ancora sconfitta"

Nessun pentito ha collaborato per la cattura di Matteo Messina Denaro. La chiavi per arrivare al superboss sono state la meticolosa raccolta di una serie abnorme di informazioni confrontate tra i tanti reparti dei Carabinieri e le banche dati dello Stato (tra queste quelle del ministero della Salute e delle Regioni), il lavoro di investigazione in strada e le intercettazioni telefoniche. E’ quello che la componente investigativa dell’Arma definisce il "metodo Dalla Chiesa", come spiega lo stesso Comandante Generale, Teo Luzi: "Per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura, soprattutto in questi ultimi anni, con un grandissimo impiego di personale e di risorse strumentali». E tre giorni fa è arrivata la svolta e la decisione del blitz. Dunque un’indagine tradizionale che ha una ferma consapevolezza: «senza intercettazioni non si possono fare le indagini di mafia», sottolinea il capo dei pm di Palermo, Maurizio de Lucia. Il bandolo della matassa, in quel mare di byte e faldoni, erano i dati che in qualche modo facevano riferimento alla malattia del padrino di Castelvetrano, a causa della quale prenotava visite, terapie e interventi sotto il falso nome di Andrea Bonafede, con tanto di codice fiscale.

Le indagini che hanno dato impulso alla cattura sono state le due operazioni chirurgiche, una per un cancro al fegato, l’altra per il morbo di Crohn. Una delle due operazioni peraltro era avvenuta in pieno Covid. I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte gli inquirenti sono arrivati ad un certo un numero di pazienti. L’elenco si è ridotto sulla base dell’età, del sesso e della provenienza che, sapevano i pm, avrebbe dovuto avere il malato ricercato. Alla fine tra i nomi sospetti c'era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara. Dalle indagini però è emerso che il giorno dell’intervento, scoperto grazie alle intercettazioni, Bonafede era da un’altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. Tre giorni fa le indagini hanno poi confermato che la mattina del 16 gennaio 2023 Messina Denaro, alias Bonafede, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemio. Certi di essere molto vicini al capomafia i carabinieri sono andati in clinica, poi Messina Denaro è arrivato con il suo favoreggiatore a bordo di un’auto. Non ha opposto resistenza, non ha tentato la fuga. Ha solo detto: «sono Messina Denaro». Poi la cattura, come ha sottolineato de Lucia, «senza ricorso alla violenza e alle manette». E’ l’ultimo atto per il boss, nel prologo nessuna soffiata o rivelazione: dietro quel momento c'erano solo trent'anni di lavoro accurato, minuzioso, paziente.

«Abbiamo catturato l’ultimo stragista responsabile delle stragi del 1992-93». Così il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia ha aperto al conferenza stampa per l'arresto di Matteo Messina Denaro. «Siamo particolarmente orgogliosi del lavoro portato a termine questa mattina che conclude un lavoro lungo e delicatissimo». «Catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico» ha proseguito Maurizio de Lucia. «Esprimo il mio grazie al collega Paolo Guido che ha portato avanti le indagini in modo magistrale e il mio affetto e riconoscimento all’Arma e al Ros che abbiamo visto lavorare in modo indefesso», continua.«Siamo particolarmente orgogliosi per questo lavoro che ci ha consentito di arrestate l’ultimo boss stragista di Cosa nostra. E’ un debito che la Repubblica aveva con le vittime della mafia che in parte abbiamo saldato» ha concluso il procuratore di Palermo.

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