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Mario Biondi Sicilia-Londra a/r. Dalle baracche di Messina a Taormina - INTERVISTA

“Scusi signora…posso cantarle una canzone?”. Ecco il piano. Se il live riparte, ma le date europee cominciano a subire la variante Delta..."noi ci spostiamo in Sicilia, sulla nostra bella Isola e suoniamo casa per casa". Un giro per “Dare”. Un disco per osare.

Scusi signora… posso cantarle una canzone?». Ecco il piano. Se il live riparte, ma le date europee cominciano a subire la variante Delta... «noi ci spostiamo in Sicilia, sulla nostra bella Isola e suoniamo casa per casa» Mario Biondi è reduce («sì, reduce rende l’idea! Era un po’ che non dormivamo 8 ore in 5 giorni, tanto siamo ancora picciottazzi impenitenti») da un tour de force Italia-Ucraina e un altro lo aspetta dalle nostre parti, che poi sono anche le sue.

Taormina, Castellammare del Golfo, il suo è anche il nome a sorpresa del Roccella Summer Festival. Un giro per “Dare”. Chiamiamolo pure disco l’ultimo album, il supporto fisico è quello. Ma nella sostanza è un concetto, duplice già nel titolo. “Dare” come regalare o “to dare” come osare. E ha una sua preistoria: doveva uscire nel 2020, è slittato al 2021, giusto nel giorno del suo 50. compleanno.

Una rinascita nel giorno della nascita. Coincidenza, destino... cos'è?

«Forza maggiore, ma pure una decisione consapevole. Stavamo fermi ad aspettare, volevo festeggiare con un progetto che ha dietro anche un impegno sociale, lo stesso che ha animato il mio lockdown, senza chiasso. Mi hanno insegnato che il bene non fa rumore e il rumore non fa bene».

Una storia di incontri, dei tuoi incontri…
«Di collaborazioni importanti per la mia vita, come quella con The High Five Quintet che hanno tenuto a battesimo la mia carriera vent'anni fa. È empatia, amore a pieno titolo, senza inflazione e ce lo siamo dimostrati. Con Dodi Battaglia, col Volo in “Crederò”, un brano sul grande amore per Gianni Bella. Ero giovanissimo quando mi portò a fare le tournée, è stata scuola. Sono siciliano come lui, un terrone impastato di radici, gente, famiglia. È fondamentale essere legati ai sentimenti, sono la cosa più sana e pura. Ma a patto di essere coerenti, che è la parte difficile. E la mia vita è costellata di rapporti che durano. Ho 9 figli con compagne che, seppure in altre forme, rimangono».

Questo trasmetti loro?
«A volte è più semplice comprendere gli “estranei” che chi hai molto vicino. La vita è particolare, ora più autoreferenziale che mai. Tutti protagonisti. Io invece sono cresciuto con l’amore gregario per mio padre, era la mia eccellenza. Fin quando mi è mancato, aveva 46 anni e ho dovuto diventare io la locomotiva. Magari dalla mia esperienza i miei figli trarranno il contrario».

C’è Olivia Trummer tra i featuring di “Dare”. Una pianista col dono della parola…
«Straordinaria. Bella d’animo, ha grazia, timidezza. Si siede al piano e canta e suona come una grande artista degli anni 70».

Lontana dal mainstream. Qualità e gusto cosa c’entrano con la musica che tormenta questa stagione?
«Il mercato lo fa il commerciante che deve vendere il prodotto. Oggi sono le radio ad avere il canale preferenziale. Qualche volta ce la raccontano più grossa di quel che è, ma hanno comunque ragione loro. Fanno il proprio mestiere».

“Dare” è un indicatore della tua libertà. Nel passaggio da una etichetta indipendente ad una major che quota di sovranità hai dovuto cedere?
«La fretta è il prezzo da pagare. Sbrigati che va già bene così... invece non andava bene per niente. Oggi ascolto “Dare”, che ha addirittura la presunzione di essere un live in studio, senza sovraincisioni, tagli e cuci… e amo il risultato. In generale però preferisco i meriti alle colpe. Quando sposi qualcuno, lo prendi tutto intero».

“Show Some Compassion”: il pezzo che a suo modo ha cominciato il risanamento di Messina dalle baracche.
«Mi bastava esserci. Non credo sia merito mio, ma godo dell’affetto di chi me lo riconosce. Il sì plebiscitario di chi ho chiamato all’appello è stato la prima vittoria. Qualcuno ti chiede prima la canzone, quante battute canterà…».

Valuta il “ritorno”…
«E non funziona. O vuoi o non vuoi. Certi discorsi a proposito di beneficenza mi fanno sentire un cretino che non ha capito nulla».

Lampedusa, serate di musica senza tempo. Quindi una valigia e il volo a Londra. Che ricordo hai di quel Mario?
«Beddu! Ricordo la soddisfazione, a Lampedusa la musica dal vivo l’ho portata io. Il locale, le persone che si autotassavano pur di star seduti a sentire le nostre serate. Il Mario d’allora non aveva tutte le idee chiare, ma la voglia sì. E quella ancora mi salva: la voglia, la pazzia, l’idea».

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